Non suoni stonato che in questa rubrica oggi mi occupi di energia mentre immagini e scatti fotografici dalla Ucraina testimoniano l'insensatezza della guerra. Ma è chiaro che quel conflitto nel cuore dell'Europa ha e avrà un notevole impatto proprio sul fronte dell'approvvigionamento energetico. Il mio pensiero è che i decisori europei, a diversa intensità, almeno negli ultimi anni si sono fatti prendere la mano con la decisione di accelerare in materia di transizione energetica. Con traguardi ambiziosi da raggiungere in tempi oggettivamente ridotti. Giusto impegnarsi affinché le emissioni nocive al pianeta abbiano a ridursi. Ma tale legittimo impegno mai dovrebbe venire a cozzare con la realtà. E, in modo particolare, con l'economia reale. Cioè, con il destino delle imprese e delle famiglie.
In pratica, non si è compreso quanto fosse complessa la situazione e che prodursi in un'accelerazione entusiastica senza tener minimamente in conto i rischi connessi, avrebbe comportato un aumento generalizzato dei costi e un deciso svantaggio competitivo per quelle economie come la nostra assai dipendenti da altri proprio sul versante dell'energia. Analizzato così, il piano di transizione energetica è sembrato la versione riveduta e corretta di antiche visioni ideologiche (come lo stop italico alle centrali nucleari), allorché le idee diventano indirizzi senza osservare quel che la realtà comunica. O, addirittura, quasi non esistesse.
Un difetto di realismo, insomma. Ma un difetto assai grave nel quale siamo precipitati. Adesso l'emergenza impone decisioni di altro segno. E di transizione energetica sentiremo parlare un po' meno.
Io dico che, invece, andrebbe ripensata introducendo il concetto di mix energetico, ovvero realizzando un cocktail efficace fra le diverse fonti di energia, inclusi investimenti strategici sul nucleare che, ideologia a parte, rappresenta un esempio concreto di energia pulita.
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