Con l'ok del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla legge di conversione del decreto legge sugli impianti industriali di rilevanza strategica è iniziata una nuova stagione per Taranto. Ma si addensano già altre nubi: Acciaierie d'Italia (controllata da Invitalia 40% e ArcelorMittal 60%) studia la conversione per una produzione green, ma da qui a dieci anni (tanto ci vorrà) la nuova emergenza si chiama CO2. O meglio il problema è il costo da pagare per produrre con le fonti fossili, «risarcendo» il sistema con i «cosiddetti certificati verdi». Il prezzo delle emissioni a fine febbraio è infatti schizzato oltre il tetto dei 100 euro a tonnellata per la prima volta nella storia dai 21 euro di inizio 2021. Un valore, quello dei 100 euro, che S&P aveva previsto si sarebbe raggiunto nel 2025. E che ora, con due anni di anticipo, rischia di mandate in tilt i conti a Taranto e più in generale quelli dei settori più energivori.
«Tutto parte spiega Gianclaudio Torlizzi esperto di materie prime e consigliere del ministro della Difesa Guido Crosetto - dal green deal europeo che ruota attorno al principio di imporre a imprese e i cittadini il passaggio verso le fonti rinnovabili. Un obiettivo questo perseguito attraverso la progressiva riduzione delle allocazioni gratuite di certificati di emissione di CO2 in favore dei settori energivori. Proprio il raggiungimento del prezzo della CO2 intorno ai 100 euro è una dei driver che contribuisce a mantenere il prezzo dell'elettricità in Francia, Germania e Italia sopra i 100 euro a MWh malgrado il forte calo del prezzo del gas naturale negli ultimi 6 mesi».
Uno scenario che porterà a nuovi extra costi per Ilva e per le altre industrie energivore che ci metteranno del tempo a «transitare» verso il green. Quanto a Taranto, il decreto del governo destina 680 milioni ad Acciaierie d'Italia a titolo di finanziamento soci, risorse che in futuro potranno essere utilizzate come aumento di capitale. Il prestito-ponte consentirà di coprire i debiti, soprattutto nei confronti dei fornitori energetici. Ma la situazione a Taranto al netto del tema CO2 - non è infatti rosea: l'esposizione è di circa 1 miliardo di euro, tra oneri finanziari, debiti e fornitori da pagare a cui vanno aggiunti 430 milioni di investimenti l'anno per realizzare il piano industriale che dovrebbe rendere l'ex Ilva di Taranto una fabbrica «decarbonizzata». Purtroppo la sfida è tutta in salita.
«È lecito ritenere spiega Torlizzi - come la discesa dei prezzi nel secondo semestre 2022 sia una pausa all'interno di un super ciclo rialzista delle materie prime e dell'energia. E questo non solo in ragione delle attese di riaccelerazione dell'economia cinese. Ma soprattutto in ragione del deficit derivante dall'implementazione delle politiche climatiche. Politiche che, ruotando esclusivamente sull'elettrificazione, comportano un forte aumento dei consumi di acciaio e metalli». Stando alle stime di Bloomberg, saranno necessari metalli per un controvalore di 10mila miliardi di dollari per garantire la transizione energetica entro il 2050. «Uno scenario che sta mettendo in allarme colossi europei in forte difficoltà e, in alcuni casi, in fuga dall'Europa.
È in quest'ottica che va letto l'annuncio della tedesca Basf di licenziare 2.600 dipendenti, il ridimensionamento della gigafactory di Tesla in Germania e la decisione di Audi di insediare uno stabilimento produttivo di auto elettriche negli Usa».
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