
La governance, il cambio euro-dollaro, la ripresa incerta del settore industriale, il taglio dei costi. La strada di StM, gruppo italo francese dei chip, è lastricata di ostacoli che potrebbero aggravare il cortocircuito del titolo che, nell'ultimo anno, ha perso li 48% in Borsa. La trimestrale diffusa giovedì ha battuto le attese degli analisti, ma i numeri sono da brivido: utile operativo quasi azzerato (-99,5%), margine lordo in caduta libera e un -27,3% sui ricavi. «Consideriamo il primo trimestre come il punto più bass» ha detto l'ad Jean-Marc Chery (nella foto). Sarà così? In gioco ci sono quattro variabili chiave.
«La narrativa dell'abbiamo toccato il fondo funziona, ma regge solo se supportata da una traiettoria industriale solida nei prossimi mesi. StM lo sa, e infatti non taglia gli investimenti: i 2,3 miliardi di capex previsti per il 2025 sono una scommessa sulla fase due della ripresa», ha commentato Gabriel Debach, analista di eToro mettendo però in luce una delle potenziali grane all'orizzonte: il tema valutario.
L'outlook di StM per il secondo trimestre si basa su un tasso di cambio di 1,08, ma oggi l'euro quota oltre 1,13. Per tornare al livello ipotizzato dalla società, servirebbe una svalutazione di circa il 5%. «Il gruppo può incassare dollari anche in Asia (che nel 2024 ha pesato per circa il 60% del fatturato), ma sostiene gran parte dei costi in euro, con impianti e centri R&D in Italia, Francia, Svizzera. Con l'euro forte, i costi salgono, mentre il potere d'acquisto dei ricavi in dollari si riduce. In un trimestre dove il margine lordo previsto è già sotto pressione, la leva valutaria può diventare un ostacolo tutt'altro che trascurabile», evidenzia l'esperto.
La ripresa è poi legata a quella del settore industriale e dell'automotive, che però è al centro della guerra dei dazi. Un punto dirimente, perché anche se le commesse iniziano a riprendere quota, il settore industriale resta il grande malato del ciclo. «Finché l'industria globale non torna ad assorbire semiconduttori, ogni rimbalzo resta fragile, effimero, facilmente spazzato via da nuovi venti contrari», spiega l'analista.
La rassicurazioni di Chery sono, dunque, deboli. Tanto che il management non ha indicato le stime sui ricavi per l'intero anno annunciando che il gruppo si concentrerà su «controllo rigoroso delle spese, tutela della ricerca e sviluppo, innovazione continua». Tagli in vista dunque? Il contenimento delle spese potrebbe passare anche da lì. La preoccupazione sul futuro industriale di StM nel nostro Paese, «è sempre più fondata», ha evidenziato la Fim. In un recente incontro convocato dalla Regione Lombardia alla presenza della delegazione sindacale e della direzione di StM, «si è appreso che sul sito lombardo sono previsti almeno 800 licenziamenti». Per i sindacati, la credibilità del piano 2025-2027 vacilla.
All'orizzonte resta poi la grande grana della governance.
Sia il governo francese sia quello italiano possiedono una quota del 27,5% del gruppo, ma negli ultimi mesi l'esecutivo Meloni ha di fatto espresso la propria sfiducia all'attuale ad Chery dopo un duro scontro per la nomina dei rappresentanti italiani nel board. Un fronte ancora aperto visto che l'Italia vorrebbe confermare Marcello Sala, direttore generale del Mef, candidatura che è stata però rispedita al mittente dal consiglio di Sorveglianza, guidato proprio da Chery.
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