Subito in pensione: quanto si perde davvero sull'assegno

Secondo la simulazione di smileeconomy le perdite andrebbero da un minimo del 20% fino ad oltre il 27%

Subito in pensione: quanto si perde davvero sull'assegno

Il ritorno al puro contributivo tanto auspicato da Mario Draghi si tradurrà nel mantenimento della possibilità di anticipare l'uscita dal lavoro scegliendo di sacrificare all'incirca un quinto dell'assegno pensionistico.

Mentre lo scontro coi sindacati è ancora aperto, ed almeno per il 2022 chi si trova in regime pensionistico misto potrà sfruttare la cosiddetta Quota 102, come spiegato da "Il Giornale", si ipotizza un allargamento a tutti di "Opzione donna".

Tale flessibilità in uscita dal mondo di lavoro, ribattezzata "Opzione tutti", si potrebbe sì realizzare prima dei 67 anni, ma comporterebbe, come già sperimentato dalle lavoratrici che hanno usufruito proprio di Opzione donna, un ricalcolo dell'assegno. Questo verrebbe effettuato solo sulla base dei contributi versati, non tenendo quindi conto degli anni retributivi precedenti il 1996 (quelli prima della riforma Dini), i quali invece aumentano l'assegno proprio perché elaborati sulla base degli ultimi stipendi.

La simulazione

La simulazione fatta da smileconomy per Repubblica spiega cosa accadrebbe a tre lavoratori classe 1959 con reddito mensile netto di 1500 euro i quali, compiendo 63 anni nel 2022, si vengano a trovare nella possibilità di anticipare l'uscita di 4 anni e di accedere quindi ad "Opzione tutti".

Il primo caso preso in esame è quello di un cittadino "incastrato" tra le Quote: con 62 anni di età ma solo 37 di contributi, costui non riuscirebbe ad accedere a Quota 100 per un solo anno. Nel 2022 arriverebbe a 63 anni di età e 38 di contributi, ma, essendo in vigore Quota 102, dovrebbe attendere obbligatoriamente il compimento dei 64 anni. Nel caso in cui l'ipotetica Opzione tutti fosse già operativa, il lavoratore avrebbe la possibilità di pensionarsi anche subito, vedendo decurtare pesantemente il proprio assegno, che precipiterebbe da 1181 euro al mese (quelli previsti al compimento dei 67 anni) a soli 934, con una perdita del 21%.

Il secondo caso ipotizzato è quello di un cittadino 63enne con 35 anni di contributi: se decidesse di abbandonare il lavoro rinuncerebbe al 20% dell'assegno, passando da 1094 euro al mese a 872. Il terzo esempio è quello in cui smileconomy prende in esame il caso di un lavoratore che ha accumulato solo 20 anni di contributi, dieci nel retributivo (prima della riforma Dini del 1995) e dieci dal 1996 in poi.

Si può trattare, ad esempio, di un contribuente che ha lavorato in parte in nero o è stato precario per tanti anni. Se costui decidesse di pensionarsi al raggiungimento dei 63 anni perderebbe il 27% dell'assegno, incassando solo 579 euro al mese anziché 794.

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