La Federal Reserve prova a usare le maniere forti per domare l'inflazione: con una mossa all'unanimità, alza i tassi di mezzo punto collocandoli in una forchetta compresa fra lo 0,75% e l'1%. È l'atto che segna la fine della lunga era espansiva, iniziata con la crisi dei mutui subprime. Un inasprimento così netto delle maglie monetarie non si vedeva infatti dal maggio del 2000, quando alla guida della banca centrale Usa c'era ancora Alan Greenspan. Allora, la stretta puntava a contrastare «l'esuberanza irrazionale dei mercati» che sarebbe poi sfociata nello scoppio della bolla delle dot-com; ora il nemico da contrastare è l'ascesa dei prezzi al consumo, all'8,5% in marzo e mai così elevati negli ultimi quarant'anni.
La Fed ha scelto un doppio binario per avviare il processo di normalizzazione. Da un lato, intende agire sul versante del costo del denaro come già avvenuto in marzo col primo giro di vite dello 0,25%; dall'altro, procede con lo snellimento del bilancio gonfiato di asset, fino a raggiungere i 9mila miliardi di dollari, in seguito agli stimoli messi in campo contro la pandemia. Rispetto alle attese, Eccles Building non calca la mano: il «dimagrimento» sarà per ora limitato a 47,5 miliardi di dollari al mese. A partire dal primo giugno, il tapering riguarderà 30 miliardi di titoli del Tesoro e 17,5 miliardi di titoli garantiti da ipoteca. Dopo tre mesi, il limite per i Treasury aumenterà a 60 miliardi e 35 miliardi per i mutui. Anche la sottolineatura sui rischi inflazionistici esacerbati dalla guerra in Ucraina e dal conseguente rincaro dei prodotti energetici (un punto sui cui il board dice di prestare «molta attenzione»), suona hawkish ma senza essere troppo aggressiva. «Voglio parlare direttamente agli americani: l'inflazione è troppo alta ed è essenziale abbassarla. Abbiamo gli strumenti per ridurla e ci stiamo muovendo rapidamente», ha affermato il presidente della Fed, Jerome Powell.
Questa impostazione sembra quindi togliere dal tavolo l'ipotesi di un rialzo di tre quarti di punto già nella riunione di giugno. Il successore di Janet Yellen ha indicato che, verosimilmente, sarà replicato quanto deciso ieri: «Supponendo che le condizioni economiche e finanziarie evolvano in linea con le aspettative, c'è un ampio consenso nel comitato che ulteriori aumenti di 50 punti base dovrebbero essere sul tavolo nelle prossime due riunioni». Parole accolte da Wall Street (il Dow Jones a ridosso della chiusura saliva del 2,06%, il Nasdaq del 2,22%, l'S&P500 del 2,16%) con un grande sospiro di sollievo, anche se la catena di inasprimenti si preannuncia lunga. La Fed non ha infatti alternative: dopo aver sottovalutato per mesi il carovita, ora deve correre. In base alla regola di Taylor, il costo del denaro dovrebbe essere oltre il 9%, un obiettivo impossibile da centrare se non condannando il Paese a una severa recessione e accettando un crash del mercato azionario. Alcuni analisti sostengono che la soglia entro cui la Fed sarebbe disposta ad tollerare un rovescio del mercato azionario è una correzione del 10% circa dell'S&P 500. Il presidente della Federal Reserve Jerome Powell è del resto convinto che la banca centrale ha «buone possibilità» di ottenere un atterraggio morbido per l'economia statunitense.
Mentre entra in un territorio non più esplorato da oltre vent'anni, si può solo augurare che abbia ragione. Quanto alla Bce, dovrà cominciare a prestare attenzione agli spread: quello tra Btp e Bund ha toccato ieri i 198,5 punti, tornando sui livelli di fine maggio 2020.
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