Tim, spunta l'ipotesi dividendo extra

Merlyn, che ora condivide l'idea di cedere la rete, pronta a presentare la sua lista di consiglieri

Tim, spunta l'ipotesi dividendo extra
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Pietro Labriola si gioca il jolly: ieri l'ad del gruppo Tim è volato a Parigi per spiegare a Vivendi i dettagli del piano presentato da poco. Secondo indiscrezioni, l'ad di Tim avrebbe anche accennato al fatto che la parte finanziaria dell'operazione di cessione della rete potrebbe permettere la distribuzione di un extra-dividendo già alla fine di quest'anno. Cosa che consentirebbe ai francesi di rientrare in parte del loro investimento (circa 4 miliardi) oltre a rendere più appetibile la Tim in Borsa.

L'indiscrezione del viaggio parigino non è stata smentita dalla società. La missione di Labriola avrebbe quale mandante il governo stesso (attraverso Cdp al Tesoro fa capo il 9,8% della società): lo scopo è trovare un'intesa con il socio francese (Vivendi è il primo azionista con il 23,75%) in vista dell'assemblea del 23 aprile che dovrà nominare il prossimo cda. E forse non è un caso che l'incontro sia avvenuto nel giorno in cui sul mercato è arrivata la proposta del fondo Merlyn che, con una quota appena superiore allo 0,5%, intende presentare entro il 29 marzo una propria lista di consiglieri. Un'iniziativa accompagnata da un «contropiano» di Alessandro Barnaba, promotore del fondo Merlyn, che a prima vista assomiglia a una sorta di liquidazione della società.

Per Merlyn «nel nuovo piano denominato TValue, la vendita della rete non è abbastanza «per garantire un futuro sostenibile a Tim e ogni ritardo all'attuale closing, in assenza di altre misure, sarebbe finanziariamente devastante per la società». Ma non basta.

Tra gli altri punti del piano c'è la fusione della rete con Open Fiber, la cessione entro il 2024 di Tim Brasil (asset considerato «non core», e quella di Tim Consumer con l'obiettivo di «chiudere nel 2025». Alla fine resterebbe solo una TechCo: una società tecnologica e infrastrutturale di fascia alta posizionata in modo univoco per fornire soluzioni digitali integrate a valore aggiunto sia per le imprese sia per la pubblica amministrazione. In altri termini una sorta di cloud company, che resterà in Borsa e tornerà a chiamarsi «Telecom Italia». La reazione del mercato, che nell'operazione vede una robusta rivalutazione del titolo, è stata ovviamente positiva: Tim ha chiuso in rialzo di oltre il 2% a 0,2233. E poco importa se l'operazione Merlyn è esclusivamente speculativa, annullando ogni velleità industriale.

Ben diversa è invece l'idea di cui Labriola, forte del mandato del governo, avrebbe esposto a Vivendi. E non senza aspetti finanziari altrettanto interessanti. La sostanza è in parte già nota dal nostro novembre scorso: dopo la cessione della rete a Kkr (per un controvalore (enterprise value) di 18,8 miliardi), la società potrà ricavare un ulteriore «earnout» nell'ordine dei 3-3,5 miliardi nell'arco del piano (entro il 2026). Di questi, 2-2,5 arriveranno da Kkr in seguito alla fusione con Open Fiber e un altro miliardo dipende dalle cessioni della rete Sparkle e della quota Inwit. Un tesoretto che Labriola pensa almeno in parte di monetizzare a favore degli attuali azionisti attraverso un extra-dividendo: è questo il jolly con il quale Vivendi potrebbe essere chiamata a confrontarsi.

Con una quota del 23,8% del capitale, il gruppo francese si metterebbe in cassa un cedolone non previsto, restando comunque azionista di una società che a quel punto avrebbe ampi margini per crescere di valore oltre che continuare a mantenere nel futuro una presenza industriale di peso.

In altri termini, da ieri Vivendi ha di fronte due possibili alternative. Da un lato quella nuova del fondo Merlyn promette un buon ritorno finanziario, comunque non immediato (le cessioni richiedono tempo) ma in qualche modo tombale: alla fine non resta quasi niente. Senza contare le incertezze sul futuro dei 37.

900 che oggi lavorano nel gruppo: non a caso la reazione dei sindacati alla proposta del fondo è stata subito negativa. Dall'altro la proposta del management e del governo italiano che, a fronte di un cospicuo e immediato ritorno finanziario, prospettano una costante creazione di valore sulle basi di un futuro industriale.

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