Ubi prepara 2mila esuberi E vede 665 milioni di utile

Cedola al 40%, scatta il titolo (+5,5%) Massiah: «Mps? Le fusioni si valutano se c'è chiarezza»

Ubi prepara 2mila esuberi E vede 665 milioni di utile

Entro i prossimi tre anni Ubi Banca punta a raggiungere un utile di 665 milioni di euro dai 251 del 2019 anche grazie a un radicale piano di tagli dei costi che passa dalla chiusura di 175 filiali e da 2.030 esuberi. La banca guidata dall'ad Victor Massiah ha garantito che continuerà a destinare al dividendo il 40% degli utili, per un rendimento futuro vicino all'8%. E nel 2022 è già previsto un possibile aumento della cedola, se il Cet1 sarà sopra il 12,5%. Immediata la reazione di Piazza Affari dove Ubi, dopo una sospensione al rialzo, ha chiuso in progresso del 5,5% a 3,49 euro, ai massimi da settembre 2018.

«Il piano triennale rappresenta in modo simbolico il lasciarsi alle spalle un decennio di crisi che la banca ha affrontato con resilienza» ha sostenuto ieri Massiah, presentando il business plan al 2022. Un piano fondato sull'ipotesi «stand alone», ovvero senza valutare nessuna delle ipotesi di nozze su cui scommette il mercato. Massiah non ha però escluso «operazioni di concentrazione che portino alla creazione di valore e semplicità di governance», pur specificando come «non è che tutte le fusioni funzionino. Non vi dico nulla di nuovo, se vi dico che vedo nel tempo il sistema concentrarsi, ma se non succede nulla è perché è complicato, fino adesso finestre non ce ne sono state».

Piazza Affari è convinta da tempo che la prossima ondata dal risiko passerà da Ubi. Di volta in volta il gruppo è stato visto convolare a nozze con Banco Bpm (Goldman Sachs ha parlato di trattative a buon punto su questo fronte), Bper, Credem o destinata a diventare il cavaliere bianco di Mps; il Tesoro, a cui oggi fa capo il 68% di Rocca Salimbeni, si è impegnato a cedere il passo a Siena entro il 2021.

Quanto al Monte, Massiah ha detto: «Nel risiko ci tirano per la giacca da ottobre 2014, con Mps protagonista numero uno. Il che non esclude che noi si possa alla fine fare un matrimonio con loro o con altri. Ma fino a che non ci sarà una chiarezza di governance non si può fare».

Il banchiere si è poi detto disposto a incontrare tutti e tre i patti presenti nel capitale di Ubi, precisando che non c'è alcun «disallineamento tra i pattisti e il management. Stiamo tutti dicendo la stessa cosa». Soddisfatti del piano i sottoscrittori del patto Car (a cui fa capo il 17,8% di Ubi comprese le partecipazioni delle famiglie Bombassei, Beretta, Radici, Bonatelli) che avevano aperto la porta a eventuali fusioni ma non ai salvataggi.

Proprio i salvataggi bancari lo scorso anno sono costati al gruppo oltre 120 milioni tramite la partecipazione al Fondo Interbancario.

«Esistono delle regole del gioco che portano ad agire in questo modo perché è il male minore» ha commentato Massiah per cui tuttavia «è evidente che non si può andare avanti così». L'auspicio? Un ripensamento delle normative sulla risoluzione bancaria sul modello di quelle statunitensi.

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