Mediobanca e Generali riagguantano i livelli precedenti al crack di Lehman Brothers del settembre 2008 sull'onda della riapertura della caccia al tesoro custodito dal Leone di Trieste tramite la conquista di Piazzetta Cuccia. La banca d'affari costituita nel 1946 da Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia per sostenere le imprese italiane è difatti il primo azionista del gruppo assicurativo con uno strategico 13% del capitale e continua a rappresentare la via più economica per conquistare i circa 500 miliardi di attività detenuti dal gruppo assicurativo. Mediobanca infatti capitalizza 9,2 miliardi a fronte dei 30,1 di Generali.
Con la discesa in campo di Leonardo Del Vecchio salito la scorsa primavera al 5% di Generali e, proprio in questi ultimi giorni, a un passo del 10% di Mediobanca (grazie anche al collocamento della quota dell'8,4% della banca d'affari detenuto da Unicredit) i due titoli hanno ripreso a correre. In parallelo (+33% messo a segno da entrambi i titoli in Borsa negli ultimi dodici mesi), come hanno sempre fatto.
Più in dettaglio, Mediobanca ha chiuso l'ultima settimana a 10,44 euro dopo aver sfiorato nei giorni precedenti gli 11 euro (a 10,97 euro), livelli che non vedeva da giugno 2008 (anche se lontani dai massimi di dicembre 2006 a 17,61 euro). Generali a sua volta è tornata, negli ultimi giorni, a intravvedere all'orizzonte i 20 euro (a 19,34 euro) per poi chiudere la settimana 19, 18 euro, sui livelli che abbandonati ormai da novembre 2008 (anche se lontani dai 38,7 euro di dicembre 2000).
Nonostante dal 2013 Mediobanca si sia sempre più concentrata sulle proprie attività bancarie rispetto alle partecipazioni strategiche (che un tempo passavano, oltre che da Trieste, da Pirelli, Fiat, Rcs, Italmobiliare fino a Tim), Piazza Affari continua a legare il valore di Piazzetta Cuccia a quello della sua partecipazione in Generali. La quota della compagnia assicurativa triestina detenuta da Mediobanca vale infatti 4 miliardi e rappresenta oltre il 40% del valore attribuito dal mercato alla banca. Lo stesso peso che la partecipazione in Generali aveva sul valore di mercato della banca d'affari nel 2013, quando Alberto Nagel, ad di Mediobanca oggi come allora, aveva sorpreso gli investitori annunciando l'addio ai patti di sindacato nelle società partecipate dalla banca e la classificazione come asset disponibili alla vendita delle partecipazioni detenute, con l'eccezione di Generali.
Oggi più che mai per Nagel la strada per svicolare il destino della banca d'affari da quello di Generali si dimostra in salita. Il fatto è che più Generali corre in avanti, sostenuta dalla battaglia per il controllo e dal piano industriale dell'ad Philippe Donnet, che vuole fare della compagnia assicurativa il «partner di vita» dei suoi clienti concentrandosi anche sulla gestione patrimoniale, più appare complesso per Mediobanca riuscire a valorizzare al meglio in Piazza Affari gli asset industriali del gruppo.
In ogni caso, Nagel ci proverà con la presentazione prevista il 12 novembre del nuovo piano industriale, concentrato, secondo indiscrezioni di mercato, sui business della gestione patrimoniale e sul credito al consumo. Le parole d'ordine saranno «crescita» e «remunerazione». Un modo implicito anche di rispondere alle «accuse» di Del Vecchio che aveva auspicato per Mediobanca «un futuro da banca di investimento».
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