Senza l'articolo 18 si sta tutti meglio. Si produce, si crea occupazione, si convincono le imprese straniere a investire nel proprio Paese. E non si scatena a quanto pare lo scenario apocalittico ipotizzato dai sindacati, che contro l'abolizione del famigerato articolo combattono ormai da mesi.
Per capirlo basta guardare all'Austria, come fa un articolo di ItaliaOggi. Una rapida analisi delle condizioni del mercato del lavoro dello stato mitteleuropeo è sufficiente a farsi due conti in tasca. Dati alla mano, l'Austria affronta questi tempi di crisi con livelli molto bassi di disoccupazione, ferma al 4,2% della popolazione, prima dell'Olanda, un tempo capolista. Prima anche della Germania, spesso portata a modello: la disoccupazione dei tedeschi raggiunge il 5,7%. Un dato non troppo lontano da quello di Vienna, ma comunque non altrettanto buono.
E se i disoccupati sono generalmente pochi, l'Austria si conferma modello di virtù anche considerando il settore giovanile, con una disoccupazione tra i 16 e i 25 anni che interessa solo l'8,3% dei soggetti. La media dell'Eurozona raggiunge il 21,6%. E scusate se è poco.
Tutto merito dell'articolo 18? O meglio, della mancanza dell'articolo 18? Ovviamente no. A dare una grossa mano è anche la scuola, con istituti professionali che funzionano e preparano davvero al mondo del lavoro. E imprese inclini ad assumere forze giovani, se si dimostrano valide, allettate anche dalla riduzione d'imposta fino al 20% assicurata per chi forma i nuovi lavoratori.
Poi ci sono le multinazionali, presenti massicciamente in Austria. Merito del sistema di tassazione, che influisce soltanto sui profitti realizzati nel Paese. Che aiuta a fare dell'Austria uno stato all'avanguardia sotto il profilo dell'innovazione e la base per le operazioni delle imprese nell'Europa centro-orientale.
E la flessibilità, sotto tutti i punti di vista. Per i lavoratori, agevolati da orari elastici e compensazioni statali. Per le aziende, che al di là dei contratti nazionali, pur presenti, sono libere di stringere accordi singoli con i dipendenti per la riduzione degli orari, fattore importante soprattutto in tempi di crisi e di diminuzione del lavoro.
Una flessibilità che si fa sentire anche quando si parla di licenziamenti. Le imprese possono lasciare a casa i lavoratori senza fornire motivazioni, senza preoccuparsi dunque delle implicazioni legate all'articolo 18. Senza che questo crei disastri, ma anzi, favorendo le assunzioni, con le aziende consapevoli del fatto che, in caso di necessità, sono libere di lasciare a casa gli esuberi. E con tutte le cautele del caso nei confronti dei lavoratori, che hanno comunque diritto a un preavviso sul licenziamento da due settimane a cinque mesi (per gli ultracinquantenni). E che godono di un'ampia offerta formativa, mirata a reinserirli presto nel mondo del lavoro.
Un paradiso? Quasi.
Come fa notare ItaliaOggi non mancano problemi legati all'aumento dei contratti a tempo determinato e a lavori sottopagati, né casi di sperequazione salariale tra uomini e donne. Ma - i dati non mentono - forse sull'articolo 18 hanno ragione loro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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