Vodafone in manovra anche sull'Italia. Si stringe il cerchio intorno al frammentatissimo mercato delle telecomunicazioni che lo scorso anno in Europa ha bruciato 24 miliardi di equity. Il risultato di anni di politiche Ue scriteriate sul fronte della concorrenza che costringe oggi gli operatori a correre ai ripari e fare massa critica. Per intenderci l'Europa non può più permettersi i 97 operatori (5 solo in Italia) nati, negli anni, dalle direttive della commissaria Margrethe Vestager. Così - nei prossimi mesi il Vecchio Continente e l'Italia in primis saranno al centro di un'ondata di consolidamenti senza precedenti. Fosse anche solo, come ha sostenuto l'ad di Vodafone Italia Aldo Bisio nell'intervento di ieri al forum Asstel, «per sostenere gli ineludibili investimenti nel 5G». L'azienda con sede a Londra, dopo l'uscita di scena dalla Spagna sta valutando diverse opzioni per il mercato italiano: un merger di grosse dimensioni o una joint venture, o la totale uscita di scena (l'opzione meno probabile). Tra i candidati per l'accordo ci sarebbe la rivale Iliad che lo scorso anno aveva presentato un'offerta da 11 miliardi (rispedita al mittente), ma anche Fastweb e Swisscom, che opera in Italia e Svizzera.
Se infatti Vodafone è già in trattativa per cedere a Zegona Communications il 100% di Vodafone Spagna e sta lavorando alla fusione con l'operatore Tre nel Regno Unito, ha - in parallelo - anche ufficialmente aperto il dossier Italia.
Proprio ieri la multinazionale ha alzato il velo sul primo semestre di gruppo, quindi a livello internazionale, mettendo in luce la necessità di un cambio di passo: i ricavi sono scesi del 4,3% a 21,9 miliardi, e il periodo si è chiuso in rosso di 0,2 miliardi. Una situazione leggermente migliore in Italia con un secondo trimestre che contiene il calo (-1%) rispetto al primo (-1.6%). In merito, la ceo Margherita Della Valle ha chiarito che «si tratta di un mercato molto diverso dalla Spagna e che Vodafone continuerà ad esplorare opportunità di consolidamento alla luce del marchio forte, di una rete forte, e del fatto che in Italia di generi il 35% dei ricavi B2B». Il contesto resta comunque sfidante.
Dati alla mano, il rapporto Asstel mette in luce che, nel 2022 in Italia, il saldo di cassa degli operatori (ovvero la differenza tra ebitda e capex) è per la prima volta negativo e pari a -3,8 miliardi (nel 2010 era 10,5 miliardi), segno che la marginalità del settore, in continuo calo da diversi anni, è sempre più assorbita dagli investimenti sostenuti. Il valore negativo risente soprattutto della maxi-rata di 4,5 miliardi pagati per le frequenze 5G e della riduzione dell'ebitda, frutto di un aumento dei costi e di una continua contrazione dei ricavi.
Ed è in questo quadro che si inserisce la recente operazione Tim-Kkr che secondo l'ad Pietro Labriola «era l'unica strada percorribile»: l'ad ha spiegato che negli ultimi dati economici di Tim l'ebitda che era cresciuto di 300 milioni è sparito sotto gli interessi passivi del debito, e che «fuori il costo del denaro è salito del 7%.
Senza contare che il business delle infrastrutture sta prendendo una piega per cui il ritorno degli investimenti avviene in 10-15 anni». A rafforzare la necessità di fare massa critica anche Wind Tre con l'ad Gianluca Corti che ammette: «Sono 15 anni che tagliamo e non c'è più niente da tagliare, così i prezzi scendono e i costi salgono».
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