Edna O'Brien, che raccontava le donne (ma non era amata dalle femministe)

La grande scrittrice irlandese aveva destato scandalo con il suo esordio sull'amore e poi con i romanzi politici

Edna O'Brien, che raccontava le donne (ma non era amata dalle femministe)
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«Joyce ha lasciato l'Irlanda. Beckett ha lasciato l'Irlanda. Le loro opere sono radicate nel paesaggio irlandese. Sia fisicamente, sia psichicamente. La terra natale è l'ispirazione di ogni scrittore, da Proust a Moravia, a Malaparte, a Roth, a Munro». Così qualche anno fa, sulle pagine di questo Giornale, Edna O'Brien (foto) ci raccontava il rapporto, tormentato e imprescindibile, con la sua patria. Anche la scrittrice, morta a Londra sabato, all'età di 93 anni, aveva lasciato l'Irlanda: era scappata nella capitale inglese con il marito, sposato di nascosto, e i loro due figli. Era il 1960 e la futura scrittrice (all'epoca lavorava in una farmacia...) diceva arrivederci alla Contea di Clare, dove era nata il 15 dicembre del 1930: arrivederci perché, appunto, i villaggi e la terra d'Irlanda sono rimasti la fonte primaria di ispirazione per la sua ventina di romanzi e raccolte di racconti, su tutti Ragazze di campagna, il suo esordio, un successo che provocò un enorme scandalo.

Era sempre quel 1960. Aveva trovato lavoro presso l'editore Hutchinson, e i suoi capi fiutarono il talento: le anticiparono cinquanta sterline per scrivere un romanzo tutto suo. Impiegò tre mesi. Tirò fuori ciò che nessuno aveva mai osato: la vita delle donne irlandesi. Soprusi, abusi, violenze, amori, desideri, sesso, sofferenza, la cappa del cattolicesimo, la prigione della famiglia, la libertà. Come ha ricordato il Guardian, il suo amico Philip Roth diceva: «Mentre Joyce è stato il primo irlandese cattolico a rendere la sua esperienza e i suoi dintorni riconoscibili, il mondo di Nora Barnacle ha dovuto attendere i romanzi di Edna O'Brien». Anche se poi O'Brien si è occupata, più che della moglie, di Joyce stesso, una delle sue ossessioni letterarie, a cui ha dedicato una biografia così perfetta, nel 1999, che gli eredi non ne hanno corretto nemmeno una virgola.

L'esordio finì in una trilogia, con La ragazza dagli occhi verdi e Ragazze nella felicità coniugale; soprattutto, finì bandito nella sua Irlanda, e addirittura bruciato nel suo paesino, Tuamgraney. La fama «libertina» la seguì anche in tribunale, quando dovette combattere per ottenere la custodia dei figli. Non piacque nemmeno alle femministe: parlava di sentimenti e di amore, parlava di vittime. Ci ha detto: «Molti grandi uomini e molte grandi donne hanno esplorato l'immenso serbatoio del sentimento, ed è un peccato che alcuni lo ignorino»...

Ormai però era una scrittrice, e anche molto famosa. Fra Londra e gli Stati Uniti frequentava Samuel Beckett, Mick Jagger, Jackie Kennedy, Jane Fonda, Francis Bacon, Harold Pinter, la Casa Bianca a San Patrizio. Passò a occuparsi anche di questioni politiche: un altro scandalo, prima per l'intervista in carcere a Dominic McGlinchey, capo del gruppo paramilitare Irish National Liberation Army, per il romanzo Uno splendido isolamento, poi per l'intervista a Gerry Adams sul New York Times. In quello che secondo Roth era «il suo capolavoro», Tante piccole sedie rosse, rievocava il genocidio di Srebrenica e il criminale di guerra Radovan Karadzic. Nulla la spaventava. Nel suo ultimo lavoro, Ragazza (uscito nel 2020 in Italia per Einaudi, editore di quasi tutte le sue opere) raccontava l'orrore vissuto da 276 ragazzine rapite in Nigeria dai jihadisti di Boko Haram.

A proposito di femministe vere e femministe solo a parole... Il suo editore, Faber, l'ha ricordata come uno «spirito ribelle e coraggioso». È vero: molte e molti, ancora oggi, hanno da imparare da quella Ragazza d'Irlanda.

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