Effetto Moody’s: giù i titoli in Borsa L'arrembaggio alle nostre banche...

Proprio mentre Draghi riceve l’investitura a Bruxelles, un’ondata di vendite si abbatte sulle azioni dei principali istituti di credito italiani. Solo nel pomeriggio c'è stata una ripresa e si è evitato il baratro. COMMENTO Tassare i risparmi? Sarebbe un autogol

Effetto Moody’s: giù i titoli in Borsa 
L'arrembaggio alle nostre banche...

Ieri, ore 9: a Milano inizia una seduta borsistica assai tesa. Nel tardo pomeriggio di giovedì, l’agenzia Moody’s ha messo sotto osservazione 16 banche italiane per un possibile declassamento del rating. E per altre 13 ha peggiorato le prospettive. C’è attesa per la riapertura di Piazza Affari. Occhi puntati su tutto il listino. Ma soprattutto sulle banche. E ancor di più su due di esse: Unicredit e Intesa. Perché sono queste le uniche aziende di credito italiane con le due caratteristiche che interessano al mercato: sono sistemiche (cioè correlate con le altre istituzioni finanziarie in un possibile effetto a catena, tipo Lehman Brothers); hanno in portafoglio un quantitativo di titoli greci di una certa rilevanza, ancorché contenuto per entrambe sotto il miliardo. Ebbene, alle ore 9 si tira un sospiro di sollievo: il mercato prova a partire al rialzo. Unicredit, per esempio, da 1,445 della chiusura di giovedì, alle 9.01 fa segnare il primo prezzo a quota 1,468, +1,6%. Ma la giornata è solo all’inizio.
Per un paio d’ore non succede molto. E Unicredit, il titolo protagonista di questo racconto, si muove intorno agli 1,46 euro per più di due ore e mezzo. Alle 11.31 è ancora lì. Poi una piccola scivolata e alle 11.51 vale 1,45. Quasi come giovedì, ma ancora in territorio positivo. E così è per Intesa e il resto del mercato. Poi succede l’incredibile. E per seguirlo bisogna tenere d’occhio gli orologi. Perché sono esattamente le 11.58 quando l’agenzia Radiocor, da Bruxelles, brucia tutti e lancia in rete un flash: «Bce: Mario Draghi nominato presidente dal vertice Ue». Un italiano al vertice della Banca Centrale Europea; 12 anni dopo la nascita dell’euro; 19 anni dopo il quasi crac italiano del ’92. A occhio un successo pazzesco per l’economia tricolore, per la sua reputazione. Invece 900 chilometri a sud est da Bruxelles, in Piazza Affari, negli stessi minuti, tra le 11.58 e le 12.02, Unicredit prima perde il 2% a quota 1,418, poi cede di schianto, letteralmente abbattuta da una montagna di ordini di vendita che non trovano contropartita. E scatta la prima sospensione al ribasso, con un prezzo che alle 12.13 è fissato in 1,342: il 9% in meno. Sono 2,8 miliardi, il valore di un signor aumento di capitale, andati in fumo. Si riprova a fare prezzo alle 13.08: 1,382. Negli stessi minuti viene giù tutto: Intesa cede il 7%, l’intero listino quasi l’1,5%. Unico negativo in tutta Europa, con l’eccezione di Madrid (-0,7%), comunque migliore. Nei successivi 60 minuti la situazione si stabilizza. Ma alla fine della giornata le perdite restano pesanti: Unicredit -5,5%, Intesa -4,3%, Mps e Banco popolare -2,5%. L’indice generale l’1,6%, tutte banche che raccolgono i cocci. Il baratro, però, almeno quello è stato evitato.
Ma cos’è successo nella realtà? Possibile che proprio quando un italiano diventa il numero uno del sistema monetario europeo, della Banca delle banche, le sue stesse aziende di credito finiscano in una bufera senza precedenti? C’è un disegno in atto? A queste ed altre domande si sono rincorse ipotesi di risposta per tutta giornata nelle sale operative milanesi.
In sintesi, le cose stanno così: non è vero che quanto è successo ieri è dovuto a un meccanismo tecnico per cui, in certe circostanze di mercato, scattano i cosiddetti stop loss (stop alle perdite) e le vendite prendono il sopravvento. Questo accade ed è accaduto. Ma non basta a spiegare dove siamo. È invece vero che lo spread (la differenza) tra i rendimenti del Btp e dei bund a 10 anni hanno ieri raggiunto il massimo storico, 212 punti: chi compra carta italiana chiede il 2,12% in più di rendimento di quella tedesca, entrambe in euro. Nemmeno nel primo trimestre 2009 (il momento più basso della crisi finanziaria), lo spread è mai stato così alto. Ed è altrettanto vero che, in queste condizioni, «si è letteralmente chiusa la liquidità, come nel 2009», come ci dice uno dei più ascoltati finanzieri di Milano. Per le banche italiane significa che prendere i soldi in prestito costa di più, perché il tasso è funzione dell’andamento dello spread. E se i soldi costano di più le banche hanno solo due opzioni per stare in piedi: o alzano a loro volta il prezzo degli impieghi, strozzando un’economia che cresce a uno dei tassi più lenti d’Europa, o restringono i loro propri margini, abbassando ulteriormente la redditività. In entrambi i casi all’investitore conviene vendere.


Come se ne esce? Non è facile, perché il salvataggio della Grecia resterà un’incognita e una minaccia alla zona euro. Di certo l’Italia deve cercare di abbassare lo spread con una manovra immediata. E in questo senso, il via libera a un’operazione da 43 miliardi, annunciato ieri dal governo per il giovedì, è stata la cosa giusta.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica