Effetto ritirata: l’Italia è una falla per la sicurezza

Andrea Nativi

Tutti a casa? Il deteriorato quadro della sicurezza a Dhi Qar richiede in realtà un rafforzamento della presenza militare italiana, non un ritiro. In ogni missione di stabilizzazione quando si verificano crisi o aumenta la tensione vengono fatte affluire truppe di rinforzo.
Ma se ritiro, pardon, rientro, deve essere, è necessario procedere con molta cautela, per evitare sia pericoli diretti per le nostre forze, sia il collasso dell'apparato di sicurezza iracheno e l'inizio di scontri feroci tra le diverse fazioni armate sciite e i gruppi di guerriglia.
Il governo non ha ancora chiarito poi se l'idea di mantenere in Irak un Prt, un Centro di ricostruzione provinciale, dopo la conclusione della missione Antica Babilonia sia stata definitivamente abbandonata. Se questo fosse vero, si creerebbe un pericoloso vuoto di sicurezza nella provincia.
Il Prt, che in teoria doveva diventare operativo a Camp Mittica entro la fine del mese, si doveva articolare in una componente civile supportata da una robusta forza militare, della consistenza di diverse centinaia di uomini. Ed è proprio il dimensionamento della componente militare ad aver suscitato l'opposizione delle frange estremiste dell'Unione. Tuttavia senza una adeguata cornice di sicurezza e capacità di intervento un Prt non può essere né istituito né funzionare. E se i funzionari e i tecnici civili devono andare a spasso per Dhi Qar, occorre fornire una adeguata protezione, una capacità di reazione in caso di guai, intelligence, senza parlare delle componenti di supporto (telecomunicazioni, genio, manutenzione, difesa installazioni ecc.). Tutto questo richiede centinaia di militari, a meno di accettare rischi terribili, mettendo a repentaglio vite irachene ed italiane.
La coalizione ha in programma 18 Prt, uno per provincia. Gli Stati Uniti hanno deciso di prendersi carico di 8 Prt, 6 andranno agli iracheni, con supporto da parte della coalizione e di forze di sicurezza private, uno ciascuno saranno affidati a Gran Bretagna, Polonia, Corea del Sud e... Italia. Se Roma si tira indietro, si creerà una falla nell'intera struttura, falla che qualcuno dovrà tappare. Inutile poi farsi illusioni sulle capacità delle forze locali: la 3ª Brigata irachena, il reparto più affidabile, ha al momento un solo battaglione operativo ed un secondo in fase di addestramento. L'Italia è stata pregata di aiutare la preparazione del previsto terzo battaglione e magari di fornire equipaggiamenti e armi pesanti. Le forze di polizia invece, anche se migliorate e spesso guidate da ex ufficiali dell'Esercito, sono poco efficienti e hanno accolto nei propri ranghi troppi miliziani di partito. Non sono ancora in grado di gestire la sicurezza in modo autonomo.
Vista la situazione, occorre resistere alla tentazione di «blindare» i nostri soldati nelle proprie basi, per assicurarne la massima sicurezza.

Così facendo si lascerebbe infatti il campo alle milizie, distruggendo poi il morale di militari che vogliono continuare a svolgere la propria missione. Fino a quando le truppe resteranno in Irak si dovrà mantenere una visibile attività di pattugliamento e di presenza sul territorio. Chiudersi nei fortini non ha proprio senso.

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