Nel 1974 è stato tra i fondatori del Giornale, impegnandosi poi direttamente in politica, come fecero Enzo Bettiza e Cesare Zappulli, su impulso di Indro Montanelli, per affermare nell'attività parlamentare lo spirito dei valori di libertà, la ragion d'essere di questo quotidiano. Il suo approdo alla fondazione del Giornale era stato preceduto da un'attività professionale costellata di successo. Non ancora trentenne, negli anni Cinquanta era stato redattore capo de Il Tempo, allora maggior giornale della capitale e di peso nazionale, con grandi firme che lui, giovanissimo in plancia di comando, coordinava e stimolava: Curzio Malaparte, Virgilio Lilli, Enrico Falqui, Gianni Granzotto, Gianni Letta, Nantas Salvalaggio, per citarne solo alcuni. Al Giornale, talvolta, metteva in discussione con schiettezza, con Montanelli e il suo braccio destro Biazzi Vergani, alcune scelte editoriali. Quando se lo vedeva entrare nel suo studio, Montanelli cominciava a battere nervosamente il piede: sapeva che non andava a fargli complimenti. Era un uomo scomodo, che faceva tutto terribilmente sul serio: profondamente giornalista, non si è mai lasciato contagiare da una certa canaglieria del mestiere, non è mai scivolato dal distacco dell'osservatore al cinismo qualunquista.
Credeva in quel che faceva, come quando, sedicenne, era stato uno dei balilla che andarono a Salò, per un allora senso dell'onore e del romantico cercar la bella morte: un'esperienza su cui, maturato poi nei valori di democrazia, si confrontò in un bel libro col partigiano Giorgio Bocca.Fernando Mezzetti - 2 luglio 2010
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