Elogio delle correnti

Tra pochi mesi saranno trascorsi 500 anni dalla pubblicazione dell'elogio della follia di Erasmo da Rotterdam e forse è giunta l'ora di fare, più modestamente, l'elogio del buon senso. Anche se, forse, quello del buon senso è, nell'attuale stagione, il nuovo elogio della follia. Ma veniamo al dunque. Nella sinistra italiana c'è sconcerto e rassegnazione. Fino a ieri c'erano quelli che sapevano chi erano (la sinistra radicale) e quelli che, invece, pur esistendo cercavano, novelli Diogene, una lanterna per scoprire la terza via tra comunismo e socialismo (Pd). I primi non sono più nel Parlamento della Repubblica, i secondi ci sono ma afflitti quasi da uno «stupore psichico». Girano attoniti quasi domandandosi «cosa facciamo ora» oppure chi siamo «veramente». Domande senza risposta, angosce crescenti. È il frutto perverso di una sinistra italiana che, nella sua componente meno radicale (il Pd), ha mollato gli ormeggi antichi senza avere una rotta che non fosse la novità per la novità. Troppo poco per un partito a vocazione maggioritaria. E qui arriva l'elogio del buon senso o, se volete, il moderno elogio della follia. Nel Partito democratico ci sono uomini e donne con storie personali e politiche diverse, spesso profondamente diverse.
Per trasformare una lista elettorale in un partito c'è bisogno che queste storie politiche si integrino limando le asperità e le certezze di ciascuna e facendo una sintesi alta in chiave identitaria fermo restando il valore delle antiche e diverse radici. Un lavoro straordinario e faticoso che può riuscire solo a due condizioni: una vita di partito profondamente democratica e il rilancio delle correnti. Ecco il nuovo elogio della follia. In un partito votato da un italiano su tre e nel quale ci sono radici culturali così nette e ad un tempo così distinte, come si può pensare che le correnti non debbano costituirsi, vivere, pensare e trovare tra loro un equilibrio di potere? Il meticciato di cui parlano alcuni bravi ragazzi del Partito democratico frequentatori assidui di salotti e di centri studi «à la page», può e deve essere il profilo della sintesi politica non degli addendi (le correnti) la cui autonoma vitalità culturale è lievito essenziale per la crescita di un grande partito di massa.
Nella società moderna il marketing politico è un fattore importante per il successo ma se dietro il marketing non c'è un'identità e una cultura di riferimento si cade inevitabilmente nella virtualità, nella rappresentazione più che nella rappresentanza come cominciano a dire in molti. Le correnti, insomma, come intercettori di sensibilità diverse e concorrenti nel definire la propria identità. Strumenti essenziali, dunque, senza i quali il partito di massa evapora o scade in una gestione autoritaria come sta accadendo, appunto, nel partito di Veltroni. Ciò che vale per la sinistra italiana vale anche per il cantiere aperto dalla Pdl oggi ancora e solo una lista elettorale. La forte personalità di Silvio Berlusconi maschera questa esigenza, ma chi sa leggere in controluce sa che la Pdl o si trasforma in un partito o avrà anch'essa vita breve. E anche qui il ruolo delle correnti è fondamentale. Come si potrà, infatti, mettere insieme il filone del pensiero democristiano con quello liberale e con la storia di An costellata più da convenienze che non da una elaborazione culturale, senza il riconoscimento delle correnti con la loro vita organizzata e con la rispettiva capacità di intercettare bisogni e speranze di parte rilevante della società italiana? Il governo di un uomo solo è come un mattino di primavera, passa e se ne va. Lo avverte lo stesso Berlusconi i cui discorsi hanno il segno della consapevolezza di questa transizione.

Piaccia o no ai benpensanti, il futuro della politica italiana e della sua stabilità sta proprio nel soffio vitale che le correnti di pensiero e di potere potranno dare alle due liste elettorali trasformandole, una volta e per tutte, nei grandi partiti di massa.
Geronimo
ilgeronimo@tiscali.it

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