Enea, l'anti-eroe borghese (e romantico) di Castellitto

Il giovane regista, al suo secondo film, sbarca a Venezia. Tra gli attori, il padre Sergio. Al centro, una Roma grottesca

Enea, l'anti-eroe borghese (e romantico) di Castellitto
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Il secondo film è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Lo cantava Capararezza a proposito degli album ma il concetto ben si attaglia a Pietro Castellitto che, dopo l'esordio con I predatori, torna, sempre qui a Venezia ma addirittura in concorso, con Enea che, parole sue, «è un film sul desiderio di sentirsi vivo che muove le scelte del protagonista Enea per sentire dentro di sé il movimento della vita». Ancora una volta siamo di fronte a un oggetto non abbastanza identificato nel cinema italiano. Enea, prodotto da Lorenzo Mieli e da Luca Guadagino, nelle sale dal 25 gennaio con Vision Distribution, è un film vitale e vitalistico che non somiglia a niente e a nessuno, «un gangster movie senza la parte gangster, una storia di genere senza il genere».

La storia è surreale proprio perché iperreale e racconta dell'amicizia di Enea (lo stesso Castellitto) e di Valentino (interpretato magnificamente dall'esordiente Giorgio Quarzo Guarascio che nel mondo della musica è noto come il cantante di Tutti Fenomeni). I due si muovono nella zona di Roma Nord tra spaccio e feste e una «bella» malavita che però non ha niente a che fare con l'immaginario di Suburra o di Romanzo criminale. La grande zona «bene» di Roma, che qualche tempo fa il regista aveva descritto, in una frase diventata virale, come «il mio Vietnam», è descritta in maniera grottesca (la droga viene lanciata dai due in aeroplanino sulle ville di lusso) pur facendo trasparire la verità di una società in cui il «Mondo di mezzo» esiste e lotta con o contro di noi. Enea, padre psichiatra (interpretato da papà Sergio Castellitto), madre conduttrice tv (Chiara Noschese) e fidanzata sofisticata (Benedetta Porcaroli), si muove in una Roma che «dall'alto sembra un campo di concentramento», tra ristosushi, circoli sportivi esclusivi, famiglie con madri al terzo matrimonio, padri al quarto e zii al quinto, palme che cadono infrangendo lussuosi giardini d'inverno, ragazzi che non vanno a scuola «tanto c'è l'assembly». Insomma, come nei Predatori, Castellitto viviseziona una certa borghesia non solo romana: «Cerco di raccontare il conflitto borghese svincolandomi dai cliché, Enea è un eroe romantico che viene da famiglia non apatica ma piena di umanità. Il disagio che vive è quello di provare ad essere all'altezza delle sue ambizioni in un'epoca in cui la paralisi prolifera. Il paradosso tragico dell'esistenza è che uno la vita la sente meglio in guerra e loro se ne inventeranno proprio una per sentirsi vivi», dice Pietro Castellitto.

La bellezza del cinema di Pietro Castellitto risiede anche nell'estrema libertà di riferimenti e nella totale assenza di ideologie, specchio contemporaneo di più di una generazione, tanto che la canzone dei titoli di coda dei Predatori era Luci blu degli ZetaZeroAlfa, band di riferimento di CasaPound: «Ah quella era una canzone che sentiva il protagonista. Se l'ideologia è attribuire ai personaggi dei comportamenti che non avrebbero allora io dico che l'ideologia è la morte del cinema», confida il regista con una laurea in Filosofia e un nonno, Carlo Mazzantini, repubblichino e poi testimone, come scrittore, di quella esperienza: «Me lo sono goduto poco perché è venuto a mancare quando avevo 12 anni.

Era un uomo che ha fatto la guerra a 16 anni e aveva un'ombra negli occhi di chi aveva visto cose estreme troppo presto che lo rendevano misterioso. Sono, credo, gli ultimi nonni veri della storia, le nuove generazioni non saranno mai a quell'altezza».

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