Roma - «Energia alternativa? Energia pulita? Sì grazie». Scusate se prendiamo in prestito uno dei più popolari slogan ad effetto, sbandierati dalla sinistra di governo per supportare le scelte ecologiste, adottate in nome e per conto del cittadino. Ma a volte giova rinfrescare la memoria. Specie se la memoria, e con essa anche le promesse elettorali, vengono puntualmente tradite. La verità vera, e questo sì potrebbe essere il nuovo slogan dell’Unione e dintorni, alla luce della politica intrapresa dall’esecutivo di Prodi, è che le fonti alternative d’energia ben poco interessano alla sinistra dei grandi proclami.
La constatazione arriva, accompagnata da uno sfogo amaro, da Oreste Vigorito, presidente dell’Anev, l’associazione nazionale dell’energia del vento. Che ieri ha affidato alle agenzie di stampa il suo «j’accuse». «Nel giro di un paio d’anni il settore dell’energia eolica rischia la paralisi. Gli impianti che stiamo installando oggi si costruiscono sulla base dell’onda lunga di tre anni fa, ma rispetto al futuro non vedo buone prospettive. Nella Finanziaria non ci sono stati incentivi per l’eolico e c’è una carenza legislativa di indirizzo nazionale, quando, al contrario, occorre allinearsi a Paesi come Danimarca, Spagna, Germania per raggiungere gli obiettivi del protocollo di Kyoto».
Curioso notare come, dalla denuncia del presidente dell’Anev si possa ricavare un’altra prova delle contraddizioni di una sinistra che, da un lato si mostra paladina dell’ecologia e annuncia ad ogni occasione marce per salvare il pianeta, e dall’altro, rendendosi evidentemente conto dell’impraticabilità di certe scelte «alternative», tradisce il suo spirito da crociata proprio nelle regioni che amministra. In questo senso il presidente dell’Anev è categorico: «Laddove l’eolico esiste già - principalmente nel Sud - ora si registra una battuta d’arresto, mentre in alcune regioni che costituiscono bacini naturali con zone senza vincoli, è tutto arenato a causa delle normative».
In particolare Vigorito denuncia come nelle Marche, Umbria, Lazio, Sardegna e Basilicata «lo sviluppo dell’eolico sia fermo all’anno zero». Una situazione sconcertante, a giudizio del presidente dell’Anev, «tanto che dal governo ancora non sembrano arrivare segnali concreti per un cambio di rotta nel 2007 anche perché in Italia, dice Vigorito, non tutto l’autorizzato è realizzabile e non tutto il realizzabile è autorizzato.
Ma se i supporter del vento restano convinti che l’energia eolica potrebbe essere la seconda fonte rinnovabile disponibile nel nostro Paese, dopo quella dell’idroelettrico, sono in molti a pensarla nel modo esattamente opposto. Un parere autorevole in proposito è quello di Domenico Coiante, responsabile per 13 anni del settore fonti rinnovabili dell’Enea, nonché uno dei primi paladini dell’energia eolica in Italia ma che oggi, col senno di poi, è diventato criticissimo al riguardo.
«Nel piano energetico nazionale del 1988 - ha dichiarato Coiante al settimanale Panorama - l’Enea prevedeva l’installazione di pale per un massimo di 600-1000 Megawatt. Oggi siamo a 1.800 e si vuole arrivare a 10mila. È assurdo. Se le mettessimo in fila avremmo 2.700 chilometri di torri eoliche in un Paese che è lungo al massimo 1.200 chilometri. Uno scempio ambientale. Oltretutto non risolveremmo il problema energetico, considerato che, con una tale mega installazione, si coprirebbe sì e no il 4,5 per cento del fabbisogno elettrico nazionale».
E, a proposito di scempi ambientali, come si legge nell’inchiesta pubblicata questa settimana da Panorama, molti amministratori pubblici che si sono lasciati sedurre dalle «sirene» portatrici di installazioni eoliche, anche per rimpinguare le casse dei loro piccoli Comuni, si sono ritrovati un territorio deturpato dall’impatto visivo di una foresta di pale. Un esempio? Canio Tiberi neosindaco di Campomaggiore, 900 abitanti, in provincia di Potenza: «Avevamo firmato un contratto per sette torri eoliche da 1,5 megawatt. Ora si scopre che le pale finiranno a 150 metri dalle case. Così non si potranno nemmeno aprire le finestre per il rumore. Vorremmo fermare l’impianto ma le sanzioni sono pesantissime. Rischieremmo la bancarotta».
E il colpo di grazia all’imbarazzo e alle contraddizioni della sinistra è arrivato dall’associazione ecologista Italia nostra che, prima ha lanciato l’allarme, e poi ha passato la parola a Carlo Ripa di Meana: Conficcare migliaia di torri sui crinali Appenninici, sulle colline, sulle coste a ridosso delle città d’arte e dentro i parchi nazionali vuol dire distruggere il nostro paesaggio. E adesso, di fronte ad una simile, insidiosa, gimkana, quale sarà la prossima mossa del ministro Pecoraro Scanio?
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