A partire dal mese di dicembre del 2023, Google attiverà una politica secondo la quale un account verrà chiuso dopo due anni di inattività.
Il rimedio è elementare: per scongiurare la chiusura del proprio account è sufficiente accedervi almeno una volta ogni 24 mesi. Ma la notizia non è questa, del resto ci sono altri provider di servizi online – per esempio virgilio.it - che disattivano gli account dopo pochi mesi di inattività. I Big del tech cercando di fare ordine, ripulendo ciclicamente tutto ciò che può mostrare il fianco a vulnerabilità.
Gli account Google inattivi
Un account Google, ossia quello che permette l’accesso a Gmail, a Google Cloud e a tutti i servizi offerti da Big G, rappresenta un costo. Occorre infatti una struttura hardware, tipicamente server e spazio disco, e una struttura software per ospitarli, gestirli e amministrarli, oltre a un ampio numero di addetti.
Appena creato un account riserva all’utente 15 GB di spazio disco, in verità non tantissimi in un’epoca in cui file di ogni genere vengono archiviati in Cloud ma, moltiplicati per gli oltre 2 miliardi di utenti al mondo, la quantità di hardware necessaria assume volumi mostruosi.
Ma non c’è soltanto la questione economica e di amministrazione degli asset, ci sono pericoli molto più stringenti.
Chi non utilizza un account per un lungo periodo non ne modifica neppure le credenziali d’accesso (la password) e questo espone al rischio di hacking, lasciando più tempo ai cyber criminali per trovare modo di violare un profilo utente. Non è un caso che, nel corso dell’ultima settimana, Google abbia proposto una nuova modalità di accesso basato sul riconoscimento dell’utente e non più su password.
L’intento appare chiaro. Chi, dal mese di dicembre del 2023 al mese di dicembre del 2025 non farà uso del proprio account non avrà neppure adottato il nuovo sistema di autenticazione e avrà un account potenzialmente esposto a un rischio di cui Google non si vuole assumere la responsabilità.
I regolatori americani ed europei impongono norme sempre più severe per rispettare standard di privacy e sicurezza, non c’è un solo motivo per tenere in vita account che gli utenti snobbano.
Il caso Twitter
Lo scorso 9 maggio Twitter ha annunciato una misura simile, palesando l’intenzione di volere chiudere gli account inattivi e dettando tempi più pressanti, imponendo agli utenti di collegarsi ai rispettivi profili almeno una volta ogni 30 giorni.
I motivi alla base di questa scelta sono suppergiù gli stessi di Google anche se, nel caso di Twitter, c’è il rischio che parte della memoria storica venga meno, includendo nella chiusura anche gli account commemorativi, appartenuti a persone decedute e che, a loro modo, hanno scritto messaggi e testimonianze preziose per i posteri.
Anche nel caso di Google occorre porsi lo stesso interrogativo: cosa ne sarà degli account YouTube di chi non accede più al proprio profilo? I video
pubblicati fanno potenzialmente parte della medesima memoria storica che anche Twitter rischia di mettere a repentaglio. È lecito attendersi degli accorgimenti, affinché non tutto vada irrimediabilmente perso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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