Eolico, vento in poppa ma la politica non aiuta

Nell'Ue legislazioni ancora incerte e incomplete L'attesa di una normativa «pro-repowering»

Riccardo Cervelli

Si fa presto a dire riduzione delle emissioni di anidride carbonica e dalla dipendenza dai combustibili fossili. Per fare passi avanti in queste direzioni occorrono politiche più coraggiose a favore delle energie rinnovabili, aumentare l'elettrificazione di settori ancora troppo dipendenti da gas o petrolio (trasporti, riscaldamento, condizionamento) e innovare le reti di trasmissione dell'elettricità per favorire l'integrazione di fonti non programmabili (la cui capacità di generazione può variare da un giorno all'altro). Occorrono, cioè, infrastrutture più intelligenti, in grado di bilanciare automaticamente l'offerta con la domanda di «dispacciamento». Questi allarmi sono stati lanciati alla fine di settembre, ad Amburgo, in occasione della «Wind Europe 2016», manifestazione promossa dalla European Wind Energy Association (Ewea), che raggruppa l'industria dell'eolico e altre istituzioni interessate a vario titolo a questa fonte rinnovabile (associazioni nazionali di settore, produttori di energia, banche, assicurazioni, centri di ricerca e società di consulenza).

L'eolico costituisce attualmente il più potente motore del mercato dell'energia «pulita». Con il suo effetto volano di innovazione tecnologica e di business, contribuisce anche alla crescita di altre renewable. Nel 2015, nei 28 Paesi dell'Unione Europea (pre Brexit), i nuovi impianti eolici onshore (terraferma) e offshore (mare) hanno rappresentato il 44% del totale di tutte le nuove centrali di produzione elettrica. Per la precisione, lo scorso anno sono stati realizzati nuovi impianti onshore pari a 9.766 MW di potenza immessa nella rete, e offshore per altri 3.034 GW. Nello stesso anno, la capacità eolica totale installata in Europa ha raggiunto 140 GW, sufficiente a coprire l'11,4% del fabbisogno elettrico complessivo. «Questi numeri - commenta Giles Dickson, eeo della Ewea - dimostrano che il vento è la forza trainante della transizione energetica nell'Unione Europea. E si tratta di un'industria matura, con fondamentali economici credibili e che contribuisce in modo significativo a raggiungere gli obiettivi europei di sicurezza energetica e di competitività». Un settore che ha anche permesso di creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e la nascita di una miriade di Pmi nell'indotto, soprattutto in Germania. Non sono però tutte rose e fiori. Nel primo semestre 2016 le nuove installazioni sono calate del 9% rispetto allo stesso periodo del 2015».

«Lo sviluppo dell'eolico onshore si sta concentrando in pochi Paesi - avverte Dickson -: metà degli investimenti sono in Germania. La Francia al momento dà ancora soddisfazioni, mentre il Regno Unito ha frenato le nuove installazioni onshore. Il mercato spagnolo è fermo. Il quadro non dovrebbe essere questo, perché l'eolico onshore non è solo una energia rinnovabile, ma la modalità oggi economica per produrre energia e che non richiede tempi lunghi di implementazione». E l'Italia? Le aziende che gestiscono parchi eolici sono in attesa di una nuova normativa che faccia chiarezza sulle procedure per l'ammodernamento degli impianti attuali (repowering) senza dover ripartire da zero con le richieste autorizzative e rischiare di perdere gli investimenti già effettuati. I parchi esistenti sono state realizzati nei luoghi più favorevoli per la ventosità e rappresentano un patrimonio di tutti, in particolare dei rispettivi territori.

A fine vita, gli attuali aerogeneratori potrebbero essere sostituiti con turbine più potenti, magari più alte, ma in numero inferiore e progettate con criteri estetici più rispettosi del paesaggio. Come nel resto d'Europa (dove secondo Ewea, tra il 2020 e il 2030 saranno da rinnovare parchi per un totale di 76 GW) tutto è in mano alla politica. Che non è sempre veloce come il vento.

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