Erba, giallo sul guanto dell’assassino Nuovi dubbi sulla strage

Sull’indumento c’è il sangue del piccolo Youssef, ma non il Dna di Rosa né di Olindo E in casa trovate orme non identificate

Felice MantiEdoardo Montolli

C’è un guanto di lattice verde rimasto sul luogo della strage. Era appoggiato sul tavolino di fronte al divano nell’appartamento di Raffaella Castagna. Sopra, il Dna del piccolo Youssef. Emerge nella perizia del Ris depositata il 9 ottobre nelle mani dei pm. E ciò può far pensare che sia il guanto indossato dall’assassino che ha sgozzato il bambino. Ma non c’è traccia del Dna di Rosa Bazzi, che si accusò del delitto, né del marito Olindo Romano: e anche in questo caso, come evidenziano le conclusioni, non c’è nessun indizio che porti i coniugi sulla scena del crimine.
Se le intercettazioni ambientali, di cui Il Giornale ha dato conto, mettevano qualche dubbio su come erano sorte le confessioni, e il riconoscimento dell’unico superstite Mario Frigerio (che prima sostiene di essere stato aggredito da un energumeno olivastro di un metro e ottanta e dieci giorni dopo la strage accusa il basso e «bianco» vicino di casa) lasciava perplessi, è proprio la relazione dei Ris a gettare nuove ombre sulla dinamica della strage.
Anzitutto proprio il guanto. Olindo e Rosa avevano detto sì di averne indossati per compiere il massacro, ma bianchi e di tela. Frigerio invece, nell’accusare il vicino, non ha nemmeno mai parlato di guanti, ma sempre e solo di «mani nude». E allora, a chi appartiene quel guanto verde?
E ancora: secondo le confessioni dei due, poi ritrattate, subito dopo aver ucciso Valeria Cherubini e essersi convinti di aver ammazzato anche il marito sulle scale del condominio, Olindo e Rosa scapparono subito, passarono da casa, si cambiarono e andarono via sulla loro Seat. Senza lasciare, però, nemmeno una microtraccia di sangue in lavanderia. Ma qualcuno entrò comunque nell’appartamento di Frigerio, che era pieno di sangue. Ce n’era, da imbrattamento, su due poltrone del soggiorno (e una è assai distante dall’ingresso), ce n’è moltissimo sul pavimento vicino alla finestra e sulla tenda. Certo, si può pensare - tranne la macchia estesa sul pavimento, che non risulta da imbrattamento e che quindi resta un mistero - che i soccorritori abbiano involontariamente toccato e sporcato di sangue un po’ tutto. Perfino il soffitto della mansarda, e questo è assai più strano, perché pure lì c’erano altre tracce di sangue.
E pure è strano il fazzoletto di stoffa intriso di sangue ritrovato sul tappeto tra le poltrone del salotto. Sangue, questo, appartenente a Valeria Cherubini. E poi, l’impronta di una scarpa da lavoro sopra a un cuscino, trovata dai carabinieri il 12 dicembre. E quella da tennis scoperta il 9 gennaio sulla rampa di scale che collega il pianerottolo dei Castagna con l’appartamento dei Frigerio. Ma in nessuno dei due casi sono emerse corrispondenze con i Romano.
Ma c’è dell’altro: una macchia di sangue sul balconcino della famiglia Castagna, luogo in cui Olindo e Rosa avevano detto di essere usciti per il troppo fumo poco dopo aver appiccato l’incendio e che invece potrebbe essere stato utilizzato come via di fuga. Anche in questo caso i tecnici dei Ris non sono riusciti a riconoscere il Dna: «Scientificamente non interpretabile», scrivono. Il che fa pensare anche all’ipotesi di un Dna sconosciuto.
Ecco perché i due avvocati dei Romano, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux, sono pronti alla battaglia in tribunale. Secondo i legali «la consulenza del Ris, richiesta dalla Procura, sconfessa la linea accusatoria perché non solo esclude la loro presenza sui luoghi della strage, o qualsivoglia traccia delle vittime nella loro abitazione, ma individua profili biologici non riconducibili né alle vittime né ai coniugi». Anche la testimonianza di Frigerio sarà oggetto di aspro confronto in aula: «I dubbi e le perplessità già espressi dal suo difensore al Giornale sono un dato indiscutibile - aggiungono i due - la stessa ricostruzione degli eventi fornita dal Frigerio, a nostro giudizio, si pone in contraddizione con gli altri risultati delle indagini».

Resta da chiarire anche come si difenderà Olindo Romano: «Il nostro assistito si è proclamato innocente ben prima di conoscere i risultati dei Ris - concludono Schembri e Bordeaux - e non mancherà di confermare in aula la sua estraneità».

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