Erckmann e Chatrian, ovvero quattro mani, una patria e tutti i generi

Soprannaturale, orrore, splatter, giallo, psico-thriller. I due francesi innovarono la novellistica, 150 anni fa. Nella loro Alsazia-Lorena (e non solo) ambiantarono storie in cui l'irrazionale stravolge la vita quotidiana. E si sposa con le tradizioni popolari

Erckmann e Chatrian, ovvero quattro mani, una patria e tutti i generi

Agli studenti delle medie superiori, l'Alsazia e la Lorena hanno sempre procurato dei grattacapi. Almeno a partire dall'immediato post-Sedan, cioè dopo la battaglia che sta all'orgoglio dei francesi come la battaglia di Caporetto sta a quello degli italiani. Dicono infatti i libri di storia che l'Alsazia e la Lorena, più o meno costantemente a braccetto come amiche o sorelle, in soli tre quarti di secolo hanno cambiato nazione quattro volte: dopo la disfatta delle Ardenne se le presero i tedeschi; dopo la Prima guerra mondiale i francesi le riportarono a casa; durante la Seconda guerra mondiale le ri-arraffarono quelli della Wehrmacht; terminato il conflitto, nuova rivincita transalpina. Fra un oui e un nein, un ja e un non, quelle terre contese non possono che essere un po' di qui e un po' di là anche culturalmente parlando.

Ma letterariamente parlando ci furono due signori che le unificarono e le resero una patria super partes, autonoma e indipendente. Avevano, guarda caso, l'uno un cognome che suona tedesco, Emile Erckmann, e l'altro un cognome che suona francese, Alexandre Chatrian, ma erano entrambi francesi a tutti gli effetti, perché nati rispettivamente nel 1822 e nel 1826, e siccome morirono nel '99 e nel '90, assistettero al primo passaggio di proprietà di cui abbiamo detto. Entrambi originari del dipartimento della Mosella (Erckmann di Phalsbourg e Chatrian di Grand-Soldat), ne amavano, fra l'altro, l'ottimo vino Johannisberg. O almeno così pare di capire a un bevitore che abbia letto i loro racconti...

Quali racconti? Ce ne sono un mucchio, la maggior parte ambientati tra la Francia orientale e la Germania occidentale, quindi in zona Alsazia-Lorena, e bene ha fatto l'editore Alcatraz a raggrupparne diciotto, presentandoli con il titolo L'orecchio della civetta (pagg. 349, euro 17, traduzione di Camilla Scarpa, introduzione di Max Baroni). Ebbene, in queste storie troviamo tanto di francese e tanto di tedesco: Guy de Maupassant ed E.T.A. Hoffmann, Honoré de Balzac e i fratelli Grimm, il gusto d'antan della vita in provincia e il culto delle ataviche leggende radicate nella heimat. Ciò che domina su tutto è quello che i francesi dell'800 chiamavano effet du diable, cioè uno stato di alterazione mentale (e dunque narrativa) che si manifesta con l'insufflare nella vicenda un che di sovrannaturale o di sovrumano.

Accade, ad esempio, in Il cannocchiale di Hans Schnaps, dove un folle (o geniale?) farmacista inventa una «siringa» con cui, dice, «rinfrescherò e darò una bella ripulita al cervello degli idioti, degli imbecilli, dei cretini e degli altri borgomastri assortiti. Verso nel cilindro un decotto di Voltaire, di Shakespeare o di padre Malebranche; vi appoggio con delicatezza l'estremità più piccola sull'occhio, spingo un po' e crac! Eccovi colmo di buonsenso, di poesia o di metafisica...». E poi, quando l'occhio guarda in uno speciale cannocchiale...

Siamo in zona Supernatural, con tanti saluti alla scienza ufficiale. Gli esiti di tali fughe in avanti possono essere infausti, come nel racconto che dà il titolo alla raccolta, L'orecchio della civetta, dove l'ideatore di un «cornetto microacustico» che consente al suo possessore di avvertire tutti i suoni della Terra viene preso per un criminale. Sicché il narratore chiosa: «A lungo... molto a lungo... rimasi lì, pensoso... ringraziando il cielo di aver limitato la mia intelligenza alle preoccupazioni quotidiane della vita... di non aver voluto fare di me un uomo superiore alla comunità». Sì, spesso è meglio non sapere, né osare sapere. E in Hans Storkus l'eponimo paleontologo, collezionista di conchiglie e detentore nientemeno che di un plesiosauro, per difendere la propria passione-dannazione si macchia di un omicidio. In Il combattimento degli orsi, Il ragno-granchio, Stati di alterazione, Il requiem del corvo, Il gufo della sinagoga protagonisti sono alcuni animali: addomesticati, tornano agli istinti selvatici, o mostrano un animo crudele, oppure burlone, o anche vendicativo, dominando la scena a dispetto degli umani.

Ecco, gli umani. Ce ne sono di molti tipi: l'ubriacone che, in Gretchen, imitando il linguaggio degli uccelli unisce la suddetta e il suo innamorato; lo scrittore che, in Crispinus (o La storia interrotta), vive le proprie fantasie; il compositore che, in Il violino dell'impiccato, copia un brano a un morto che suona; il ragazzo che, in Il sogno di mio cugino Elof, viaggiando nel passato riapre un cold case. Proviamo affetto e compassione per Myrtille, zingarella e trovatella che proprio non ce la fa a stare in una famiglia civile e torna alle origini. E ammirazione per l'ebreo che, in Il capro d'Israele, dopo aver ucciso in duello un tale, desidera espiare la sua colpa. E stima per l'anziano giudice che, in I promessi sposi di Grinderwald, essendosi infatuato di una ragazzina, a modo suo si arrende e si manda assolto, ma non prima di aver interceduto per il fidanzato della fanciulla.

E poi: L'orologio del decano è un (semi)classico giallo con molti colpi di scena e qualche tono da commedia, mentre Rembrandt (o Il sacrificio di Abramo), al netto di alcuni errori (a partire dal titolo) è un bozzetto storico che insiste sull'avarizia del pittore. Infine, L'occhio invisibile (o La locanda dei tre impiccati) mise paura persino ad H.P. Lovecraft.

È la storia di un duello a distanza fra un giovane pittore e una vecchia megera che ha l'hobby di indurre al suicidio la gente. Insomma, oltre a unificare letterariamente Alsazia e Lorena, con i loro racconti Erckmann e Chatrian hanno raccolto in un solo mazzo tutti i fiori della narrativa di genere.

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