È una verità ampiamente condivisa che l'Italia non possa più permettersi un sistema pensionistico come quello patrocinato dalla sinistra massimalista che vuole mantenere il limite a 58 anni: un sistema bocciato dall'Unione Europea e dal Fondo Monetario internazionale che non ha eguali in alcuna altra nazione sviluppata, anche molto più ricca e solidaristica dell'Italia d'oggi.
Lo riconoscono tutti i leader di buon senso, di sinistra, di centro e di destra. D'Alema ammonisce che «la sinistra che non pensa al domani non è sinistra». A noi pare piuttosto che la sinistra che non sa guardare al futuro si assuma una responsabilità ben più grave della sua identità: agisce con spirito anti-italiano trascinando l'intero Paese nel baratro.
Il lento e inesorabile scivolamento dell'Italia verso il basso subisce ora un'accelerazione con la vicenda delle pensioni su cui il governo non riesce a decidere in senso europeo. È sempre più uno spettacolo penoso che suscita l'ironia, il dileggio e la riprovazione dei più qualificati ambienti internazionali.
Ancora una volta Prodi è paralizzato dai conflitti endemici del suo governo provocati dall'ala massimalista-conservatrice della maggioranza. Ora promette che avanzerà una proposta senza rendersi conto che la rapida ed efficace soluzione dell'assetto pensionistico è vitale non solo per le risorse pubbliche e l'economia ma anche per il benessere sociale e il futuro dei lavoratori. Se il governo non sa, non può o non vuole decidere su un tema così centrale, significa semplicemente che non sa governare.
L'immobilismo di un presidente del Consiglio senza visione e senza coraggio non è tanto il segno della mancanza di un compromesso positivo tra le diverse anime massimalista e riformista del governo, quanto piuttosto l'effetto nefasto del predominio della sua ala iper-conservatrice che si ispira a ideologie fuori dalla storia.
Sì, i rifondatori comunisti e i loro colleghi no-global sono le vere forze conservatrici d'oggi, intendendo con questo termine non già la nobile tradizione del conservatorismo liberale ma l'opaco arroccamento su quanto c'è di più corporativo, antiquato e socialmente sottosviluppato in un Paese che pure ha conosciuto una grande modernizzazione contrastante con gli inamidati equilibri politici e istituzionali.
Da Marini a D'Alema, da Dini a Fassino, da Rutelli ad Amato, gran parte dei più responsabili leader del centrosinistra sono consapevoli che il governo resiste in uno stato preagonico solo per evitare nuove soluzioni o il ricorso alle urne.
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