Esplorare le vette e se stessi in sette anni nel Tibet

Da oggi con «il Giornale» a 5,90 euro il libro autobiografico dell’alpinista Heinrich Harrer

Heinrich Harrer, l’autore di Sette anni nel Tibet - in vendita da oggi con il Giornale a 5,90 euro più il prezzo del quotidiano - aveva 24 anni quando, nel 1936, riuscì a entrare nella squadra olimpica austriaca in partenza per i Giochi di Berlino. Harrer, come racconta lui stesso nel primo capitolo del libro, trascorse «quasi tutta l’infanzia sulle Alpi e occupo la maggior parte del mio tempo libero dalla scuola arrampicando d’estate e sciando d’inverno».
All’epoca l’alpinismo estremo era appannaggio di due categorie di persone «i veramente ricchi o i figli di quella nazione che avevano la possibilità di essere mandati in servizio in India. Per uno che non fosse né britannico né facoltoso c’era una sola strada. Si doveva sfruttare una delle rare opportunità aperte anche agli outsider e fare qualcosa che rendesse impossibile trascurare le proprie richieste». L’opportunità di Harrer si chiamava parete settentrionale dell’Eiger, 2063 metri di roccia a picco scalati nel 1938.
L’Eiger fu la medaglia che permise ad Harrer di unirsi, nell’estate 1939, alla spedizione tedesca in partenza per il Nanga Parabat, in Himalaya. Prima di poter rientrare in patria al termine di una ricognizione, però scoppiò la Seconda guerra mondiale e l’intero gruppo di alpinisti fu arrestato dalle truppe britanniche in India. Per mesi Harrer rimase in un campo di prigionia, ma dopo vari tentativi riuscì finalmente a fuggire e a iniziare il lungo viaggio verso il Tibet. Nonostante le difficoltà incontrate, soprattutto per la diffidenza dei tibetani, Harrer e l'amico Peter Aufschneiter raggiunsero la capitale del Paese, conosciuta anche come la Città Proibita: a Lhasa dove i due col tempo furono accettati dalla popolazione e trovarono alloggio e lavoro.
La vera svolta per Harrer però fu l’incontro e l’amicizia con il Dalai Lama. Il Dalai Lama è l'incarnazione vivente del Buddha della Compassione, adolescente eppur già dotato di grande saggezza. Nel 1951, a sette anni dall’arrivo di Harrer e Aufschneiter, la Cina invase il Tibet. Di fronte all'invasione, Harrer capì di dover fuggire. Da allora non ha mai smesso di battersi per la causa del popolo tibetano.
Quello che era iniziato come un viaggio di conquista - Harrer e compagni volevano espugnare il Tetto del mondo - diventa quindi un percorso di trasformazione interiore: l’arrogante e presuntuoso alpinista lascia il posto a un uomo diverso, affascinato da una civiltà antichissima. Come Marco Polo, anche Harrer finisce con l’integrarsi nel microcosmo tibetano, tanto da diventare non solo amico del Dalai Lama ma anche suo emissario e uomo di fiducia in giro per il Paese.
Può essere interessante ricordare come l’interesse per il Tibet, nella Germania di quegli anni, non fosse solo di tipo alpinistico. Karl Haushoffer, nato nel 1869, più volte in India e in Giappone, individuava l’origine del popolo tedesco nell’Asia centrale. A Berlino, un monaco tibetano, soprannominato «l’uomo dai guanti verdi», per tre volte fece annunciare sulla stampa con esattezza il numero dei deputati hitleriani che avrebbero fatto parte del Reichstag e riceveva regolarmente lo stesso Hitler. In quegli anni la misteriosa Società Thule sosteneva che trenta o quaranta secoli fa era esistita nel Gobi un’altra civiltà. In seguito a una catastrofe, forse atomica, il Gobi fu trasformato in un deserto e gli scampati emigrarono alcuni verso il Nord Europa, altri verso il Caucaso. Il dio Thor delle leggende nordiche sarebbe stato uno degli eroi di quella lontana migrazione.
Gli iniziati della Società erano convinti che quegli antichi emigrati componessero la razza fondamentale dell’umanità, il ceppo ariano. Karl Haushoffer, uno dei teorici della Thule, insegnava la necessità di un «ritorno alle fonti», cioè la necessità di conquistare tutta l’Europa orientale, il Turkhestan, il Pamir, il Gobi e il Tibet. Questi paesi costituivano, a suo dire, la «regione cuore» del globo.

La Società Thule organizzò molte spedizioni in Tibet, fino al 1943. Senza dimenticare che, entrando a Berlino nell’aprile 1945, i sovietici trovarono tra i cadaveri ammucchiati nei bunker un migliaio di volontari, senza documenti né insegne, di razza himalayana.

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