Genova - Raccontano nei carruggi che Giuliano era un ragazzo un po' particolare. Taciturno e ombroso, di quelli che non parlano molto volentieri. Chi lo conosce e lo ha visto sin da quando era alto un metro e una spanna, mano nella mano con sua madre, dice che forse il suo carattere così schivo poteva dipendere dalla sofferenza per la separazione dei genitori. «Poi un giorno l'abbiamo visto passare di qui con la barba e la tunica. Proprio come un musulmano». Qui vuol dire nei vicoli del centro storico di Genova, dove le etnie e le lingue si mischiano ad ogni angolo e dove viveva anche Giuliano Ibrahim Delnevo, il genovese morto in Siria in un'azione armata dei ribelli lo scorso settembre. Dopo essersi convertito all'islam, dopo aver indossato gli abiti dei musulmani, essersi coperto il capo con il kizil bas così come il loro costume vuole e aver anche imparato la loro lingua.
«Giuliano? Sì, mi ricordo - racconta un ragazzo arabo, cliente di una latteria dei vicoli - Il ragazzo con la tunica. Un giorno è passato davanti al negozio dove lavoro e mi ha salutato in arabo Salam alayum». Qualche centinaio di metri più avanti, in via San Bernardo c'è la casa dove Giuliano viveva insieme alla madre e la storia è sempre la stessa: è parecchio tempo che il ragazzo non si vede. Mentre quattro rampe di scale più in alto, dietro la porta dell'appartamento della signora Delnevo un telefono che squilla all'impazzata, a vuoto. In strada, di fronte al civico dei Delnevo c'è una gelateria dove Giuliano andava ogni tanto. «Portava la tunica, sì e allora? Come uno che si è convertito all'islam e ci crede.
Era una persona normale». E però, qualche tempo fa aveva chiesto alla titolare che togliesse dalla vetrina alcuni gelati al vino e ai liquori. «Ci diceva che l'alcol fa male e che non si doveva vendere». Proprio come un vero musulmano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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