Se non è una minaccia poco ci manca. Mentre a tremila chilometri di distanza Rafa Nadal infrangeva un record storico conquistando il suo ottavo Roland Garros, all'aeroporto di Adana nel sud del Paese il premier turco Erdogan «avvertiva» i manifestanti che la pazienza del suo governo «ha dei limiti». «Siamo pazienti, rimarremo pazienti, ma la nostra pazienza ha dei limiti», ha detto dinanzi ai sostenitori che lo attendevano allo scalo. Ma il ritorno a casa dopo i dieci giorni che hanno segnato la storia moderna della Turchia sono coincisi non con una mano tesa o con un mea cupa per i tre morti, i duemila arrestati e le centinaia di feriti di Gezi Park, bensì con una chiamata alle armi. Erdogan ha invitato i suoi elettori a «dare una lezione» ai manifestanti in occasione delle prossime consultazioni municipali che si terranno nel 2014. E ha detto: «Mancano sette mesi alle elezioni locali. Voglio che diate a questa gente una prima lezione con un voto democratico alle urne». E ancora: «Siamo il partito di 76 milioni di turchi». Definendo poi i manifestanti «vandali e anarchici, sono così vili da insultare il premier di questo Paese». «Chi distrugge e brucia, viene chiamato saccheggiatore. E coloro che li sostengono appartengono anche alla stessa famiglia». Ha chiamato poi in causa le «lobbies dei tassi di interesse», sottolineando chi sarebbero le persone coinvolte: «Una, due o tre banche, che hanno iniziato questa battaglia contro di noi, e che pagheremo a caro prezzo».
Una provocazione che potrebbe fare da miccia all'evento di massa che verrà organizzato il prossimo fine settimana, quando il partito islamico ha già annunciato che si svolgeranno due manifestazioni di piazza per sostenere il premier e condannare gli oppositori, ad Ankara e Istanbul. Una notizia che sta mettendo in allarme la comunità internazionale e le forze di sicurezza interna del Paese per l'elevato rischio di contatto fra i due gruppi e di ulteriori scontri. Ma le parole di Erdogan, inaspettate perché precedute dalle seppur timide prese di posizione del vicepremier e del presidente Gül, giungono a due giorni esatti da una mini tregua per le strade di Istanbul. Mentre ad Ankara e in altre città sono nuovamente tornati a fronteggiarsi manifestanti antigovernativi e agenti di sicurezza. I poliziotti in tenuta antisommossa hanno respinto circa cinquemila oppositori nel quartiere di Kizilay, lo stesso luogo dove nell'ultima settimana la protesta di un popolo che chiede più diritti e meno autoritarismo si è sviluppata in tutta la sua rabbia. I lacrimogeni ancora una volta utilizzati contro la folla, sommati ai cannoni d'acqua, hanno fatto lievitare il numero degli arrestati e dei feriti. Dal partito islamico di Erdogan, l'Akp, lo slogan non cambia: «Abbiamo la situazione sotto controllo» hanno annunciato dopo un vertice politico. Ma subito a smentirli ecco gli scontri nelle città di Adana, Smirne e nel quartiere alevita di Gazi a Istanbul.
Intanto con il passare dei giorni emergono altri dettagli sulla battaglia urbana di Gezi park. Durante le proteste e gli scontri tra la polizia e manifestanti sei agenti di polizia si sarebbero tolti la vita. Lo rivela un rapporto del capo del sindacato di polizia, Faruk Sezer, e la motivazione sta nel fatto che gli agenti non avrebbero retto alle feroci accuse rivoltegli dai superiori. «La violenza che si vede è, in ultima analisi, il risultato della violenza contro gli agenti di polizia - ha detto Sezer - .
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