Erdogan sfida l'Europa: «Non vi riconosco» Poi minaccia la piazza

Un ultimatum ai manifestanti, ai cittadini ma anche alle istituzioni dell'Europa, che sa tanto di attacco finale. Il premier turco Erdogan, in un colpo solo, annuncia altro uso della forza a Gezi Park, respinge le decisioni del Parlamento europeo che ha approvato una risoluzione che condanna la repressione delle proteste e, di fatto, alza un muro nei confronti dell'Ue. Piazza Taksim come la plastica raffigurazione di un impero giunto a un bivio. Ma al di là delle analisi sulla nuova bolla finanziaria turca, sulle accuse che lo stesso Erdogan ha rivolto alle lobbies delle banche e grida al «complotto pilotato dall'estero, che punta a destabilizzare il paese» stupiscono toni e contenuti delle sue parole. Lancia un «ultimo avvertimento» ai manifestanti che occupano Gezi Park, intimando loro di lasciare immediatamente il parco. «Abbiamo mantenuto la nostra pazienza fino a ora, ma la pazienza ha un limite. Lancio il mio ultimo avvertimento: madri, padri, per favore, allontanate i vostri figli da lì» ha detto dinanzi ai sindaci del suo partito. E ancora: «Non possiamo attendere molto oltre, perché il parco Gezi non appartiene alle forze che lo occupano. Appartiene a tutti» ha aggiunto. «Mi appello ai miei fratelli che difendono l'ambiente: non ci fate intristire ancora a lungo. Lasciateci ripulire Gezi Park». Ferma condanna per l'uso «sproporzionato della forza» era stata espressa in una risoluzione del Parlamento europeo, in cui si muovevano precise critiche ai metodi usati da Erdogan verso i manifestanti. Ragion per cui da Strasburgo sono giunti anche timori per gli atti di censura e le minacce rivolte ai media turchi. Decisione che Erdogan ha detto di non intendere accettare né riconoscere e, di conseguenza, aprendo una crisi con l'Unione. Intanto non si placa la tensione fra polizia e manifestanti che ancora nel pomeriggio di ieri occupavano Gezi Park a Istanbul: «Noi resteremo al parco Gezi con le nostre tende, i nostri sacchi a pelo, le nostre canzoni, i nostri libri, le nostre poesie e tutte le nostre rivendicazioni» hanno risposto a Erdogan. Con l'intera zona presidiata da blindati, autobus e ruspe della polizia per fronteggiare le cosiddette «barricate del parco». I manifestanti resistono, urlano tutta la loro protesta su blog e sui social network, sperano in una mobilitazione internazionale e soprattutto si augurano che il numero di morti e feriti non aumenti. Qualcuno ha piazzato un pianoforte al centro della piazza, con artisti di strada che si esibiscono a un palmo di naso dai manganelli e dagli idranti. Una delle canzoni che vanno per la maggiore si intitola «Gas lacrimogeni e marcia turca» e il ritornello recita: «Vai, lo spruzzo si spegne, potete spruzzare il vostro gas. Tirare il casco e mettere il testimone da parte, vediamo chi resiste». Ma, è la vulgata di molti commentatori internazionali, il popolo turco non può certo accontentarsi di progetti faraonici, come il terzo ponte sul canale del Bosforo, o il nuovo aeroporto internazionale e, nemmeno il centro commerciale previsto al posto del Gezi Park.

Dal momento che la posta in gioco è molto più alta e coinvolge, ad esempio, anche i riverberi sociali della cosiddetta «dottrina Davutoglu», in riferimento alle idee del ministro degli Esteri che vorrebbe esportare il modello turco nella vicina Siria. Ma, dopo le parole di ieri, è il premier turco, questa volta, ad essersi messo fuori dall'Ue.
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