Brillante, con un Pil da fare invidia a mezzo mondo, con un numero sempre maggiore di emigranti che lì si recano perché c'è lavoro, dotato di distretti industriali che fanno numeri imponenti. La domanda da porsi alla vigilia delle elezioni in Germania è quanto il modello tedesco, oggi vincente su tutti i tavoli, lo sarà anche domani e dopodomani. Perché se è vero come è vero che nel Paese si voterà sostanzialmente per non cambiare, con i tedeschi consapevoli di come questa impalcatura rappresenti la polizza sulla vita per il loro futuro, qualche domanda sarà utile porla a chi governa e a chi sarà governato dalla, probabile, Grosse Koalition. Ovvero, quali sono i punti deboli del gigante tedesco? E quali potrebbero esserlo considerando che attorno a Berlino gli altri stati membri rischiano di cadere sotto i colpi della crisi e dello spread? E ancora, quali conseguenze patirebbe in caso di default della Grecia o se, così come appare probabile, il partito antieuro di Alternativa per la Germania dovesse raggiungere il 5% e fare ingresso nel Bundestag con propositi rivoluzionari?
«Stiamo vivendo sulle riserve di ieri», ha ammesso a denti stretti un alto dirigente della Federazione delle industrie tedesche, Dieter Schweer, tradizionalmente molto legato alla Cdu. Come a voler destare dal torpore quanti si accontentano del pur invidiabile status quo di un paese prospero e che fino a oggi è passato indenne sotto le forche caudine dell'eurocrisi. Non è tutto oro quello che luccica al di là delle Alpi, con la stragrande maggioranza dei cittadini sì rassicurata, secondo tutti i sondaggi, da una politica stabile che non mette a rischio il benessere consolidato, ma con una fetta consistente di un elettorato quantomai trasversale foriera di dubbi sul presente di nome euro e sul futuro alla voce sviluppo interno. Si prenda il comparto energetico, dove nonostante fortissime pressioni legate al gasdotto North Stream e al recente Tap, i contribuenti tedeschi continuano a pagare circa il 30% in più per un kilowatt ora di energia elettrica rispetto alla media della zona euro. Un pugno nell'occhio per frau Angela, oltremodo equilibrata e sempre attenta a non prendere posizioni in politica estera e a rimandare scelte decisive a data da destinarsi, si veda alla voce terzo memorandum greco. Oppure si prendano le dinamiche industriali «germanocentriche» che da un lato hanno rappresentato quella coccarda che la Cancelliera si appunta sul petto, ma che dall'altro hanno concorso alle difficoltà strutturali dell'intera eurozona incapace di rialzarsi, anche perché schiacciata da qualcuno che corre più di tutti gli altri.
Il pericolo di una Germania che «sta cavalcando un'onda di euforia» è stato sventolato poche settimane fa dall'Istituto tedesco per la ricerca economica, non certo da qualche tabloid di opposizione, sollecitando più investimenti in mezzi di trasporto, scuole e rete elettrica. Impressionante è la posizione finanziaria, si legge, ma proprio per questo potrebbe essere anche «ingannevole». La lignite, ad esempio, che in Germania si raccoglie per circa 100mila tonnellate al dì, consente di compensare il calo della produzione di energia nucleare e rinnovabile. La Germania in questo appare come «drogata», dal momento che detiene il secondo primato mondiale, dopo la Russia, in Lusazia ma la politica energetica della signora Merkel è in qualche modo in cima alla lista delle minacce per l'economia, in quanto dopo il disastro di Fukushima, ha spento immediatamente le centrali nucleari: mossa politicamente popolare, ma nel merito non risolutiva. Perché non ha previsto alternative rapide e praticabili. E ancora, il mercato del lavoro con una possibile ondata di pensionati e di lavoratori in là con gli anni a cui occorrono come l'aria sostituti in tempi brevi a cui Merkel non pensa, sfoggiando il consueto immobilismo che tanta fortuna le ha portato fino ad oggi.
Insomma, il mosaico della «Merkelnomics» che però, proprio perché costruito all'interno di una vera e propria gabbia dorata, non è immune da un appagamento continuato: bello da vedere ma pericoloso in prospettiva.
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