La Grecia finanzia le moschee e vende la piana delle Termopili

Polemiche ad Atene per il milione stanziato dal governo per un tempio islamico, a fronte di tasse altissime e privatizzazioni che coinvolgono un simbolo del Paese

La Grecia finanzia le moschee e vende la piana delle Termopili

Debito complessivo immutato rispetto all'inizio della crisi (300 miliardi di euro), privatizzazioni che potrebbero coinvolgere la piana delle Termopili, simbolo della resistenza occidentale all'invasione, almeno seicentomila bambini che secondo le maggiori organizzazioni governative versano in condizioni di indigenza, suicidi da crisi che sfondano quota 2500 in un biennio, l'ombra di nuove tasse se le entrate preventivate dovessero essere inferiori alle attese.
Ecco la Grecia all'era della troika, immobile di fronte alle ammissioni di colpevolezza da parte del Fmi (che ha fatto mea culpa per un errore da 9 miliardi) e che nonostante Berlino chieda di licenziare 20 mila dipendenti pubblici entro l'anno, non trova di meglio da fare che «immolare» un luogo sacro e straripante di storia come il teatro di Leonida e dei suoi 300 e spendere un milione di euro di soldi pubblici per realizzare una moschea nel quartiere ateniese di Votanikos.
La notizia del tentativo di privatizzare quel fazzoletto di terra dove duemilacinquecento anni fa gli opliti spartiati sfiancarono le truppe di Serse, permettendo con quel sacrificio le successive vittorie greche di Salamina e Platea, è stata accolta con sdegno dai cittadini del comune di Lamia, che hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato. Mai e poi mai vorrebbero vedere «quel» luogo dove Leonida urlò «molòn lavè» agli Immortali persiani, trasformato in una fabbrica cinese o in un centro commerciale di qualche imprenditore bavarese. Inoltre sta provocando dure reazioni la prossima costruzione di una moschea in una delle zone ateniesi a ridosso dell'incantevole Keramikos, a poche centinaia di metri dal centro.
La notizia stupisce, non tanto per il merito della decisione, quanto per i tempi: ma come, si chiedono sbalorditi commercianti e passanti riunitisi nel centro di Atene a due passi dal Parlamento, in un momento drammatico per il paese e per i dieci milioni di cittadini chiamati a tre tagli di pensioni e stipendi in ventiquattro mesi, lo Stato spende quasi un milione per una Moschea?
Il Paese boccheggia, sulla lunga arteria autostradale che collega Atene a Salonicco le auto in movimento sono pochissime a causa della benzina verde ormai stabile a due euro al litro, i supermercati sono vuoti, l'Iva al 23% si fa sentire sui consumi crollati e sul ceto medio scivolato in massa verso ristrettezze indispensabili. Inoltre la gente comune si lamenta per una scelta antidemocratica che il governo ha adottato: ovvero inserire nella bolletta dell'elettricità la famigerata tassa sugli immobili, chiamata karatzi (l'Imu greca). Ma con la variante grottesca che ai morosi di quel balzello sulla proprietà privata, viene tagliata la luce. Una contingenza che «rende ancora più assurda la decisione di buttare tutti quei soldi per una Moschea» commenta Aris, proprietario di un distributore di benzina sulla chilometrica circonvallazione che circonda la capitale ellenica. La gente ormai si muove poco e quando lo fa sceglie i più economici bus provinciali o i treni regionali. «A questo punto - aggiunge - me ne andrò anch'io, magari in Germania. Ma è una vergogna che mentre centinaia di aziende chiudono e centomila dipendenti pubblici aspettano solo di essere licenziati dalla troika, il governo sprechi così tanto denaro». Giorni fa la firma del viceministro allo sviluppo, Stavros Kaloiannis, in calce allo sblocco definitivo dei finanziamenti che ha fatto infuriare anche gli ultraortodossi oltre che i deputati dell'estrema destra di Alba dorata. I «xrisìavghites» annunciano manifestazioni di protesta, convinti che non sia questa la strada per risolvere il nodo dei due milioni di immigrati presenti in Grecia. Anche perché il 95% della popolazione residente nel Paese è di religione greco-ortodossa.


In tutto ciò ha giurato ieri il governo Samaras II, dopo l'abbandono da parte del democratico Kouvellis che non se l'è sentita di avallare la politica governativa prostrata, sic ed simpliciter, ai desiderata di Berlino. Quarantatre ministri conservatori e socialisti, attesi nei prossimi giorni da voto di fiducia in Parlamento, ma con la bocciatura preventiva di mercati e stampa internazionale.
twitter@FDepalo

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