Libia, 7 febbraio: la grande paura

Grazie a "Gli occhi della guerra", Gian Micalessin ci racconta cosa accade nell'ex colonia italiana. A Zintan le milizie sono pronte a partire per Tripoli. DIARIO DALLA LIBIA

Libia, 7 febbraio: la grande paura

Zintan - Tre anni fa la Rivoluzione. E pochi mesi dopo la caduta di Gheddafi. Incominciò tutto il 17 febbraio. E la prima ad incendiarsi fu Bengasi il capoluogo della Cirenaica ribelle. Stavolta la scintilla potrebbe scattare con dieci giorni di anticipo. Ed infiammare la capitale. Da oggi - venerdì 7 febbraio - a Tripoli si respira aria di rivoluzione. O meglio di rivolta.

Oggi, in base alle regole fissate due anni fa, i membri del Congresso Nazionale, eletto il 7 luglio del 2012, dovrebbero abbandonare le poltrone e tornare alla vita civile. Ma partiti ed esponenti politici hanno già fatto sapere di non aver nessuna voglia di far le valige. Attenderanno innanzitutto le elezioni del 20 febbraio quando si eleggerà l’assemblea incaricata di redigere la nuova Costituzione. E se ne andranno solo se la neonata Costituente si dimostrerà incapace di assolvere il proprio compito. Altrimenti resteranno in carica fino alla fine di quest’anno. Ma a sloggiarli dalle sale del Rixos Hotel, sede provvisoria del Congresso Nazionale, potrebbero arrivare già quest’oggi alcune delle milizie che si contendono il controllo di diverse zone del paese.

Ieri, come testimonia il nostro reportage filmato, sono rientrate a Zintan le milizie berbere impegnate da 26 giorni in aspri combattimenti con le tribù filo gheddafiane nel sud del paese. Quel ritorno, alla vigilia del fatidico venerdì 7 febbraio è – secondo molti - assai sospetto. Ora quelle stesse colonne di mezzi e armati possono partire per Tripoli, raggiungerla in meno di due ore e appoggiare un’eventuale rivolta contro il governo del premier Alì Zeidan e il Congresso Nazionale. In alternativa potrebbero decidere di contrastare un’eventuale sollevazione guidata dei loro principali nemici ovvero le milizie islamiste legate al partito della Giustizia e della Costruzione.

A Zintan il primo a non escludere una discesa in campo delle milizie cittadine è Mohammad Al Waq Waq, presidente del Consiglio politico che governa il capoluogo berbero. “Qualunque cosa succeda – spiega a “Il Giornale” – noi staremo con la popolazione. Se la popolazione accetterà le proposte dal Congresso non ci muoveremo. Se la popolazione pretenderà un’alternativa ci schiereremo al suo fianco”.

La dichiarazione è tutt’altro che un bluff. Per capirlo basta parlare con i reduci del fronte meridionale. “Noi siamo i figli della rivoluzione e siamo pronti ad andare ovunque ci sia da salvare la rivoluzione. Se bisognerà andare a Tripoli saremo i primi ad arrivare” - spiega a “Il Giornale” Isham Alì un 24enne studente di ingegneria sceso dal cassone di un fuoristrada su cui troneggia un’antiaerea da 14, 5 millimetri.

Ma quel che più fa paura in queste ore non è la determinazione dei miliziani quanto la futilità di qualsiasi intervento armato.

Nell’attuale situazione nessuno può sperare di conquistare la vittoria. L’unico risultato sarebbe un ulteriore tuffo nel caos. Un caos capace di trasformare la nostra ex colonia in una nuova Somalia. Distante, questa volta, solo poche centinaia di chilometri dalle nostre coste.

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