Amava l’Italia. E il verde dei suoi stadi gremiti di folla. Sognava di giocarci. Vagheggiava di trasformarsi da rampollo del rais in asso del campionato più bello del mondo. Gli riuscì un’unica volta. E solo grazie ai verdoni di papà Muhammar. I dollari serviti a finanziare la Juventus, di cui i libici detenevano significative quote azionarie. I petroldollari usati per rimpinguare il Perugia del vulcanico Luciano Gaucci costretto, in cambio, a tenersi in squadra la schiappa Saadi. Grazie a quei quattrini il figlio di Gheddafi riuscì a giocare qualche minuto del nostro campionato. Successe, guarda caso, durante la partita Perugia Juventus di dieci anni fa. Correva l’anno 2004 e Saadi non immaginava quanto l’Italia gli sarebbe stata fatale. Dieci anni, dopo mentre a Roma si apre la conferenza internazionale sulla Libia con l’americano John Kerry, il russo Serghei Lavrov e gli inviati di 35 governi - tra cui i ministri degli esteri di Francia Germania, Spagna, Emirati, Olanda e Turchia - il povero Saadi Gheddafi torna a Tripoli con i ceppi ai polsi. L’hanno estradato dal Niger, quando si dice il caso, proprio nella notte prima della partita romana. La partita in cui tutti gli “amici” della Libia - o meglio tutti gli stati interessati a giocare un ruolo nel futuro del paese - devono mettere qualcosa sul tavolo. Una partita complessa e difficile come raccontato nelle settimane scorse grazie ai reportage in Libia de “Il Giornale”.
Una partita in cui Parigi non rinuncia a giocare un ruolo. La Francia ispiratrice della guerra al rais, e grande responsabile del caos che ne seguì, ha deciso forse di mettere sul tavolo la testa di Saadi per far capire che sul piano strategico militare è lei quella con più carte da giocare. Del resto chi altro poteva convincere il Niger a sloggiare quel rampollo in fuga da oltre tre anni se non Parigi? A Parigi il Niger vende il suo uranio. Da Parigi dipende il futuro economico di quel paese. Per capirlo basta guardare i numeri. Areva, la multinazionale di stato francese che gestisce le due principali miniere di uranio del Niger, può contare su un fatturato annuo da 9 miliardi di euro. Quel fatturato è quattro volte il prodotto interno lordo del paese africano dove l’illuso Saadi pensava di esser al sicuro. Dunque se bisogna immaginare alla ragioni della sua improvvisa estradizione bisogna guardare oltralpe. E bisogna soprattutto fare molta attenzione. Nei tre anni seguiti alla guerra civile voluta da Sarkozy, e vinta solo grazie alle bombe della Nato, la Francia in Libia non è riuscita a conseguire un solo obbiettivo politico, economico e strategico.
I Fratelli Musulmani sostenuti da Parigi assieme agli alleati del Qatar sono oggi la formazione più detestata dalla popolazione libica e rischierebbero in caso di elezioni di racimolare assai pochi voti. Nel frattempo la Total non è riuscita, come sperava, a strappare le concessioni petrolifere agli assai più esperti uomini dell’Eni abituati da decenni a muoversi nell’insidioso e complesso universo libico. E la “grandeur” dei nostri cugini non è bastata neppure a gestire l’addestramento del futuro esercito libico affidato in gran parte al nostro paese e in maniera meno significativa da inglesi e turchi. Ora con questa mossa a sorpresa, giocata la notte prima degli esami di Roma, Parigi cerca di rientrare a gamba tesa nella partita libica.
Ma prima di puntar tutto sulla testa del povero Saadi Gheddafi gli strateghi di Parigi avrebbero fatto meglio a ripassarsi la sua triste storia. Avrebbero scoperto che a volte neppure i soldi possono trasformarti da infima schiappa in grande campione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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