Nei cieli della Libia post-Gheddafi adesso si parla italiano

In Libia, per un mese i tecnici di volo italiani hanno spiegato agli uomini destinati a dirigere il traffico aereo nella ex Jamairija come si fa a gestire le rotte, i decolli, gli atterraggi

Nei cieli della Libia post-Gheddafi adesso si parla italiano

Da una parte gli specialisti del volo italiani, gente abituata a dirigere il traffico in quella bolgia - per rendersene conto basta andare su una qualunque buona applicazione per iPhone - che sono i nostri cieli, dove a un profano sembra incredibile che gli aerei non si tamponino in continuazione ome furgoni sul raccordo anulare. Dall'altra un gruppo di tecnici con alle spalle storie umane e professionali diverse, in una nazione appena uscita da una dittatura e da una guerra civile, e ancora lontana da standard europei di stabilità e sicurezza.

In Libia, per un mese i tecnici di volo italiani hanno spiegato agli uomini destinati a dirigere il traffico aereo nella ex Jamairija come si fa a gestire le rotte, i decolli, gli atterraggi. Sono tornati a casa ieri, piccola pattuglia di ambasciatori del bistrattato know how italiano, tassello di quel rapporto privilegiato che Roma vuole continuare a intrattenete con il suo dirimpettaio sull'altro lato del Mediterraneo anche nell'epoca del dopo-Gheddafi.

A tenere stretti i rapporti di affari e di vicinato ha già provveduto, nei mesi tumultuosi e sanguinosi dell'insurrezione, l'Eni di Paolo Scaroni, da sempre vero braccio diplomatico nei paesi produttori di risorse energetiche. Poi è toccato e Enav, l'azienda di stato dei controllori di volo. Come per il petrolio, anche per il traffico aereo l'interesse italiano è questione di business: l'implosione del regime libico e l'intera primavera araba hanno avuto effetti quasi devastanti sui nostri movimenti, nel corso del 2011 l'Italia ha perso il 22 per cento del traffico commerciale verso l'Africa, e oggi per raggiungere il continente nero dalla Penisola si impiega - se si è fortunati - almeno un'ora più che in passato. Ma, logistica a parte, l'agreement con il nuovo governo libico ha puntato a dare interlocutori stabili e professionali a chi nei prossimi decenni avrà la giurisdizione su uno spazio aereo che confina con il nostro.

Nella fase più critica della rivoluzione di Tripoli, lo spazio aereo libico è rimasto chiuso al traffico. Ma non è bastato aspettare la fine delle ostilità, perché nel frattempo i vecchi controllori libici avevano viste azzerate le loro credenziali, il patentino che autorizza ogni uomo-radar a fare il suo mestiere. Non è stato come ricominciare da zero, ma quasi. Un gruppo di trenta tecnici libici è salito a Forlì, all'Academy di Enav, l'ente governativo di controllo del traffico amministrato da Massimo Garbini, e protagonista della joint venture con il nuovo governo di Tripoli. Nello stesso periodo, istruttori Enav sono scesi in Libia per togliere la ruggine agli uomini e alle procedure delle torri di controllo locali, in vista della riapertura dello spazio.

Non è stato un lavoro facile, anche perchè l'approccio "democratico" alle procedure di un sistema sensibile come quello del traffico aereo è inevitabilmente diverso da quello di controllori militari. Centottanta tecnici libici hanno potuto fare una full immersion nelle tecnologie più avanzate. Per adesso è tutto gratis, uno dei contributi italici alla stabilizzazione di un alleato che non vogliamo si trasformi in ex alleato. Ma in prospettiva c'è anche il business, perchè sull'altro piatto della bilancia l'accordo stretto da Garbini Yussef Al-Whishi, ministro dei trasporti libico, prevede che sia l'ente italiano ad avere l'appalto per la fornitura di servizi e tecnologia alla Lcaa, il suo omologo a Tripoli.

Insomma, quando - e si spera presto - nei cieli di Libia si tornerà a volare sicuri, gli uomini che vigileranno sulla sicurezza di quei cieli e quegli aeroporti parleranno un po' italiano. Racconta Giuseppe Sanna, 39 anni, uno degli istruttori tornati ieri da Tripoli: "Dal punto di vista umano è stata un’esperienza bellissima, perché abbiamo incontrato delle persone che hanno fame di rapporti umani.

E’ un Paese che ha una grande capacità di spesa, ma che ha difficoltà a sfruttare il potenziale tecnologico di cui è dotata. Per motivi normativi, e organizzativi. La situazione logistica è piuttosto complicata, non si percepisce tranquillità, ma noi eravamo sicuri perché sempre scortati".

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