Una faticosa via d'uscita dalla palude del Datagate sembra delinearsi dopo che le cancellerie europee hanno chiarito alla Casa Bianca che non accetteranno più azioni di spionaggio da parte americana. La strada indicata da Washington per fornire le spiegazioni pretese dagli indignati alleati è duplice: da una parte un percorso per vie diplomatiche su basi bilaterali con ogni singolo Paese coinvolto, dall'altra chiarimenti che verranno forniti all'Ue dal ministero americano della Giustizia, ma «senza pubblicità».
L'irritazione dei Paesi europei cresce, ma la linea americana sembra essere quella di gettare acqua sul fuoco. L'ha ben espressa il segretario di Stato John Kerry, sostenendo che «cercare informazioni su altri Paesi non è prassi insolita». Poco dopo anche il presidente Obama ha ripreso il concetto: tutti spiano, ha detto, ma informeremo i nostri stretti alleati. Obama ha invitato gli europei a «lavorare insieme»: un richiamo al realismo, ma che sembra voler aggirare il fatto che la linea della correttezza tra alleati è stata superata e infranta. Ed ecco dunque la Germania far presente che «la fiducia con gli Stati Uniti va ricostruita» e il presidente francese François Hollande sottolineare che se non si otterrà trasparenza sullo spionaggio non ha senso parlare di accordi transatlantici di libero scambio: chiaro il riferimento al sospetto che le informazioni raccolte dagli americani siano anche di natura economica.
Anche l'Italia, le cui ambasciate sul suolo americano sono finite sotto controllo e dove secondo il settimanale tedesco Der Spiegel venivano «seguite» dall'Nsa 4 milioni di telefonate al giorno, si aspetta che dagli Stati Uniti arrivino chiarimenti. Il presidente Napolitano ha parlato di un «caso spinoso» per il quale «servono risposte soddisfacenti», e il presidente del Consiglio Enrico Letta ha detto di confidare nelle necessarie spiegazioni. Più severo il giudizio del ministro della Difesa Mario Mauro, per il quale «i rapporti tra Italia e Usa sarebbero compromessi» se le notizie pubblicate fossero confermate, perché «se siamo amici non è accettabile che qualcuno si comporti come una volta faceva l'Unione Sovietica con i suoi Paesi satelliti».
Ma proprio dalla Russia sta arrivando un ulteriore complicazione a questa vicenda. Edward Snowden, tuttora bloccato nell'area transiti dell'aeroporto moscovita di Sheremetievo, ha inoltrato domanda di asilo politico a 15 Paesi contemporaneamente, tra cui la stessa Russia. Questo dopo che l'Ecuador, pressato da Washington, non sembra più intenzionato a concedergli rifugio. Ieri Vladimir Putin ha negato che Snowden sia «un nostro agente».
Per il presidente russo, Snowden «si considera un dissidente alla Sakharov e può restare in Russia se vuole, a patto che smetta di rivelare i segreti dei nostri partner americani». Putin ha aggiunto che «non importa quanto strano possa sembrare questo detto da me». In effetti, non poco. E sicuramente anche Obama la pensa così.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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