Dell’Oglio, prete ribelle nella trappola di Al Qaida

Padre Paolo era a Raqqa per trattare con i jihadisti la liberazione di un ostaggio

Dell’Oglio, prete ribelle nella trappola di Al Qaida

Damasco - «Bisogna fornire ai partigiani democratici armi anti aeree e anticarro per proteggere la popolazione e interrompere il massacro dei rivoluzionari. Bisogna incoraggiare la costruzione di un comando militare rivoluzionario fedele ad un governo provvisorio insediato sul territorio siriano fino alla caduta del regime». Lette così sembrano le dichiarazioni di un capo guerrigliero, invece è solo una recente intervista a Padre Paolo Dell'Oglio, il gesuita scomparso a Raqqa, la città nel nord della Siria conquistata dai ribelli e trasformata in un covo di Al Qaida. Che Padre Paolo sia un prete sui generis a Damasco e dintorni lo sanno bene. Il primo a saperlo, pur senza darlo a vedere, è il nunzio apostolico Monsignor Mario Zenari. «La notizia del suo rapimento è proprio sorprendente - sospira mentre ci accoglie alla Nunziatura di Damasco. Non sapevo fosse tornato in Siria e non so nemmeno cosa ci sia tornato a fare. Del resto lui non è uno che chiama...A volte si fa sentire, altre volte no». Quanto al rapimento Monsignor Zenari si guarda bene dal confermarlo. «Per ora so solo che è scomparso, ci vorranno dei giorni per capire di cosa si tratti. Viste le sue relazioni mi sembra assai strano. Lui per i ribelli è una bandiera, un simbolo. Se - come raccontano - la gente di Raqqa è scesa in piazza per salutarlo mi sembra difficile sia stato rapito. Probabilmente i gruppi più moderati faranno di tutto per liberarlo. E in ogni caso in una situazione intricata come quella siriana - conclude - non si può mai sapere chi siano i veri rapitori».

Il prete «rivoluzionario» - espulso lo scorso anno dalla Siria per le sue prese di posizione anti regime - era arrivato a Raqqa per ottenere la liberazione di un amico, comandante di un gruppo armato moderato, caduto nelle mani dello «Stato islamico dell'Iraq e del Levante», la cellula alqaidista impossessatasi della città. L'informazione trapelata da persone vicine a Padre Dall'Oglio viene parzialmente confermata al Giornale da padre Jaq Murad, un monaco siriano grande amico di Padre Paolo sin dagli anni 80, quando lavoravano assieme al restauro del monastero di Mar Moussa. «Padre Paolo crede prima di tutto nel dialogo tra uomini quindi non mi stupisce che abbia cercato l'incontro con i capi di Al Qaida». Secondo altri amici di Padre Paolo, le sue convinzioni e le sue sicurezze sconfinano spesso nella più caparbia testardaggine. «Negli anni 70 era un militante di sinistra e continua a esserlo anche oggi nonostante la fede», racconta Samaan Daoud, un interprete di Damasco buon amico del gesuita da 25 anni. «Quando accompagnavo i turisti al monastero non mancava mai una battutina contro gli italiani colpevoli, secondo lui, di votare Berlusconi. Una volta litigò persino con una signora del mio gruppo che si permise di rispondergli. Nel 2011 dopo le prime proteste anti governative la sua foga politica si riaccese di colpo. Finì persino per tirare uno schiaffo a un ragazzo del monastero colpevole di averlo contraddetto». Da quel momento la deriva dalla vita monacale alla fede rivoluzionaria non conosce ostacoli. «Il governo forse non lo avrebbe neppure espulso, ma lui fa di tutto per spingere la situazione alle estreme conseguenze», ricorda Samaan. «Prima va a Al Qusair, la città al confine con il Libano nelle mani dei ribelli e dona sangue per i combattenti. Poi non contento si fa riaccompagnare al monastero di Mar Musa dai gruppi armati. Insomma la parte del perseguitato gli piace. Io lo intuisco a Pasqua del 2012 quando arriva a casa mia per la comunione di mio figlio. Quel giorno continua a tormentarmi con la stessa domanda. “Non hai paura a farti vedere con un amico dei ribelli?”.

Io da allora non condivido manco una delle sue idee, ma non gliene voglio e spero di poterlo riabbracciare. In fondo è solo un cocciuto testardo convinto di poter cambiare il mondo. Sicuro di sé com'è, si sarà messo in testa di convincere anche Al Qaida».

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