Migliaia di fotografie e documenti trafugati dalla Siria potrebbero portare ad accuse per crimini di guerra nei confronti di ufficiali del regime di Bashar al-Assad.
Il materiale, ottenuto in esclusiva dal Guardian e dalla Cnn, è stato portato fuori dal Paese grazie a un uomo della polizia militare, un fotografo che avrebbe lavorato segretamente per i gruppi di opposizione e che ha poi lasciato la Siria.
L'attendibilità della grande mole di prove è stata esaminata da tre avvocati internazionali, già in passato al lavoro su casi di violazioni internazionali. Desmond De Silva era il procuratore capo nella Corte speciale per la Sierra Leone, Geoffrey Nice era capo dell'accusa nel processo contro Slobodan Milosevic e David Crane incriminò Charles Taylor per la Sierra Leone.
Come ricorda il Guardian, non è la prima volta che in Siria emergono accuse di violazioni dei diritti umani. Gli esperti sostengono però che per mole e dettaglio del materiale le prove esaminate siano senza precedenti. Foto e documenti mostrerebbero l'uccisione sistematica di oltre 11mila prigionieri, detenuti e spesso torturati nelle carceri di Bashar al-Assad.
Foto e documenti sono stati riassunti in un rapporto lungo 31 pagine, commissionato da uno studio di avvocati di Londra ai tre esperti internazionali su mandato del Qatar. Doha sostiene dall'inizio della guerra di Siria l'opposizione e finanzia il gruppo a cui il fotografo militare, in fuga dalla Siria, ha passato il materiale, contenuto in una chiavetta di memoria.
L'uomo, che viene identificato soltanto come Ceasar, è stato sentito approfonditamente dagli esperti che hanno esaminato le prove fornite. Ha detto di non avere assistito di persona a torture. Il suo ruolo era quello di fotografare i cadaveri, che di volta in volta veniva inviati agli ospedali militari. Lo scopo del suo lavoro era quello di poter redarre un certificato di morte, senza che le famiglie vedessero i corpi, ma anche di confermare che gli ordini di esecuzioni erano stati eseguiti.
538em;">Desmond De Silva, uno degli esperti che hanno valutato la credibilità delle prove, le ha definite "una pistola fumante", sufficiente per aprire un caso molto solido. Ha paragonato alcune delle foto a quelle scattate nei campi di concentramento. Uno degli esperti ha sottolineato che la validità delle conclusioni "dipende dall'integrità delle persone coinvolte".
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