È morto uno dei maggiori dissidenti cinesi, uno dei simboli viventi della rivolta di Piazza Tienanmem: il professor Fang Lizhi. Aveva 76 anni e da tempo viveva e lavorava negli Stati Uniti, dove insegnava fisica all'University of Arizona. Furono i suoi discorsi e la sua contestazione aperta al regime a ispirare gli studenti che scesero in piazza sfidando i carri armati, in quella rivolta che passò alla storia soprattutto per la dura repressione nel sangue che ne seguì, lasciando sul campo centinaia di vittime. A dare l'annuncio della morte è stato l'amico e dissidente Wang Dan, anche lui in esilio negli Stati Uniti: lo ha scritto sulla sua pagina Facebook e su Twitter, dicendo che è avvenuta a Tucson, in Arizona, ed è stata improvvisa.
Negli anni ’80 Fang divenne famoso, in Cina, perché osò criticare duramente il maoismo e il marxismo, pilastri del regime di Pechino. Non era una persona qualunque ma un professore di astrofisica e vice presidente dell'Università di scienza e tecnologia della Cina. Dunque un intellettuale bene in vista. Proprio per questo nel 1987, dopo il licenziamento del segretario riformista del partito Hu Yaobang, col quale Fang aveva collaborato, fu espulso dal Pcc.
I suoi scritti, però, iniziarono a circolare, e con essi la voglia di ribellione che crebbe sempre di più nel Paese, facendo breccia soprattutto tra i giovani. Fang era fermamente convinto che il partito non avrebbe avuto vita lunga. Così non è stato, ma per restare in sella, cavalcando l'onda del "capitalismo comunista", il partito ha dovuto fare uso, senz alimiti, della forza, schiacciando ogni rivolo di libertà e negando ogni diritto ai cinesi.
Da Piazza Tienanmen agli Usa
Il 5 giugno del 1989, il giorno seguente alla durissima repressione di piazza Tienanmen, Fang e sua moglie Li Shuxian riuscirono fortunosamente a evitare l'arresto rifugiandosi nell’ambasciata americana di Pechino. Vi rimasero per un anno, accusati di crimini anti rivoluzionari. Nel giugno del 1990 a Fang fu restituita la libertà, ma solo a patto di lasciare il Paese. Lui raggiunse l'Inghilterra e in seguito si spostò negli Stati Uniti. In questi anni ha continuato a criticare duramente il regime comunista, senza mai smettere di chiedere, per il suo Paese, maggiore democrazia e libertà. Non ha più rimesso piede, però, nel suo Paese, che lo ha costretto a vivere in esilio gli ultimi 22 anni della sua vita.
La pubblicità inconsapevole che gli fece il regime
Per cercare di stroncare sul nascere le tesi "controrivoluzionarie" del professor Fang il Partito comunista cinese compilò una raccolta dei suoi saggi politici e sociali e li distribuì alle varie sedi regionali, chiedendo a tutti i membri di criticarli. Doveva essere, nelle intenzioni del partito, il modo migliore per delegittimare le sue tesi: anziché censurarle farle criticare da migliaia e migliaia di persone. Ma l'operazione fallì miseramente. Prima di tutto perché le tesi del professore circolarono enormemente, come altrimenti non sarebbe stato possibile, poi perché queste iniziarono a trovare il consenso di molte persone.
I dirigenti del Partito Comunista Cinese (Pcc) che mandarono in piazza l’esercito e i carri armati contro gli studenti, primo fa tutti l’allora indiscusso leader Deng Xiaoping, puntarono il dito
su Fang, accusandolo di essere la "mano nera" dietro alla ribellione studentesca, il "cattivo maestro". Arrivarono anche a dire, pur senza mai riuscire a provarlo, che agiva per conto di "forze straniere ostili" alla Cina. La morte di Fang arriva in un momento molto particolare per la Cina, in cui forse per la prima volta dal 1989 le divergenze interne al partito sono emerse con il siluramento di Bo Xilai, il leader "neomaoista" della metropoli di Chongqing. Secondo alcuni analisti lo scontro tra le varie fazioni comuniste potrebbe portare, in un futuro non molto lontano, anche a riaprire la discussione sui fatti di piazza Tienanmen.
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