Ettore e Achille fanno amicizia nel bar «sottomarino» di Benni

«Mi piace il modo surreale che qui dà vita a un’umanità più vivace e generosa della nostra»

Avventori di un sogno. Sono i protagonisti de Il bar sotto il mare, nati dalla penna di Stefano Benni e trasformati in realtà (o forse surrealtà) da Fabio De Luigi. L’attore romagnolo, smessi i panni dei tanti personaggi creati per la Gialappa’s, porta il mondo onirico di Benni all’Ambra Jovinelli (da martedì a domenica 25 febbraio).
Si definisce «un lettore accanito» di Benni. Cosa si prova a trasformarsi da semplice lettore a protagonista di quel mondo surreale?
«È una grande emozione. Ero convinto che il mio stile si sposasse bene con quello di Benni. Quando Stefano ha visto lo spettacolo, rimanendone felicemente colpito, ho avuto la conferma delle mie supposizioni. Con il regista Giorgio Gallione abbiamo cercato di attenerci più fedelmente possibile alla scrittura dell’autore».
Lo spettacolo prende spunto da «Il bar sotto il mare», ma in realtà include anche altri racconti di Benni.
«Sì, potremmo definirlo una "Benneide". Ci piaceva il titolo, che evoca un luogo che non esiste: il bar diventa una scatola che abbiamo riempito con altri racconti, limitandoci a estrarre dal libro due episodi e l’introduzione. Poi, esplorando la produzione di Stefano, abbiamo scelto di inserire Cenerutolo, una sorta di risposta a Cenerentola che narra la vicenda di un barista vessato da altri tre baristi, e Cappuccetto Nero, storia di una bambina di colore dedita allo spaccio».
Come cambia questo allestimento rispetto a quello studiato per i Broncoviz, quindici anni fa?
«L’idea è stata quella di farlo diventare un monologo, cambiando radicalmente l'impianto. Loro erano cinque e potevano interpretare diversi personaggi. Io naturalmente non posso fare lo stesso, quindi passo da narratore a narrato, entrando e uscendo da ogni ruolo».
Le è servita l’esperienza televisiva con la Gialappa's Band per sviluppare questa abilità trasformistica?
«La scuola Gialappa's è stata decisamente importante dal punto di vista tecnico. Soprattutto nell'imparare a usare la voce».
Guardando le trasmissioni della Gialappa’s, si ha sempre l’impressione di trovarsi davanti a un corpo estraneo rispetto alla brutta tv di oggi. È davvero un’isola così felice?
«Lì si attinge in modo intelligente dalla cultura popolare, fornendo una prospettiva ribaltata della televisione. C'è sempre grande attenzione alla qualità e non si fa mai niente per caso. Sono capaci di intuire il talento delle persone e di creare un ottimo ambiente di lavoro».
Quanta verità si nasconde nel sogno surreale di Benni?
«Di Stefano mi piace la capacità di scrivere in modo surreale attingendo dal mondo reale. Penso alla storia di Ettore e Achille, due amici che si incontrano al bar e si prendono per i fondelli, anche pesantemente, ma in fondo si vogliono bene.

Si sfidano per una bicicletta che hanno visto, tra insulti, "fiatate" e incredibili abbuffate».
Cosa racconteresti di te agli altri avventori del bar sotto il mare?
«Che sono una persona che crede molto in ciò che fa e lo fa con passione».

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