Ieri la Borsa di Milano ha perso il 3,6%; Unicredit, prima banca italiana, ha ceduto il 17%; lo spread tra i rendimenti dei Btp e quelli dei Bund è salito a 520 punti. Eppure non siamo più in settembre, quando questo sarebbe stato un rituale bollettino dettato dai mercati che così chiedevano un nuovo esecutivo per l’Italia. Siamo nel gennaio del 2012 e da 50 giorni ci governa un esecutivo tecnico guidato da un europeista apprezzato come Mario Monti. Il quale, con una manovra da 35 miliardi, ha soddisfatto le richieste di risanamento avanzate per l’appunto dall’«Europa», intesa come coagulo di istituzioni e regole comunitarie. Ma alzi la mano chi, libero da partigianerie politiche e con un minimo di attenzione per quello che accade sui mercati, può onestamente dirsi meravigliato.
È l’Europa, intesa come sopra, che sta collassando. Ieri rimbalzava la notizia del rischio bancarotta dell’Ungheria, che ha visto fallire un’asta di titoli di Stato. L’euro scivolava a 1,28 contro il dollaro. Mentre il Monti greco, il premier Lucas Papademos, avvertiva che il default è un rischio concreto.
Lentamente il sogno a cui hanno dato una vita uomini come lo stesso Monti sta svanendo. Sempre più forma e meno sostanza. Il che poteva anche andare bene se a questa forma- ancorché non a tutti i 27 Paesi ma solo a 17- non fosse stata data anche una valuta comune: l’euro. Nel quale sono oggi investiti capitali di tutto il mondo. Dicono gli analisti che la Grecia si poteva mettere in sicurezza nel 2008 con 50 o 60 miliardi di intervento comunitario: i mercati avrebbero avuto la prova che l’euro è forte perché difeso da tutti. Oggi non ne bastano nemmeno 300 e i mercati non ci credono più.
Eppure le Borse avevano aperto il loro ultimo credito con grande passione: pochi se ne sono accorti, ma Piazza Affari è salita del 30% tra settembre e ottobre. E ancora ai valori di ieri, l’indice Ftse-Mib risulta essere il 13% più alto dei minimi del settembre scorso. Ma il tempo concesso dai mercati alla politica e all’Europa è ora veramente scaduto. Si pensi che il vertice di Bruxelles del 9 dicembre scorso, presentato come decisivo per il salvataggio dell’intero continente e della valuta unica,si è concluso con un misero accordo intergovernativo sull’unione fiscale. Il che significa non vincolante per i singoli Stati qualora cambiassero i governi. Qualcuno pensa che i cosiddetti mercati, che altro non sono che gente con qualche soldo da investire, non se ne siano accorti?
Per questo nessuna sorpresa per l’andamento di ieri delle piazze finanziarie. E nei prossimi mesi ci si può anche preparare al peggio: i prezzi potrebbero tornare ai minimi del marzo 2009, che sono ancora il 20% più in giù di dove siamo adesso.
E dopo di quelli c’è la terra di nessuno, territori mai esplorati prima. Chissà che qualcuno, tra Bruxelles, Berlino, Parigi e Roma, non se ne renda conto e decida o di passare la mano o di passare alla storia, ma non esattamente tra i più grandi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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