Il Partito popolare europeo in testa, lassù, imprendibile, mentre la sinistra, dal Manzanarre al Reno, morde la polvere e raccatta i cocci di una débâcle che neppure i sondaggi erano riusciti a prefigurare, nella sua imbarazzante rotondità.
Numeri che avrebbero potuto essere ancora più significativi se l'astensionismo non avesse assestato i morsi che sappiamo, testimoniando la crescente disaffezione degli europei (quelli di «vecchio conio», soprattutto) verso un'istituzione più agile ed efficace quando si tratta di stabilire la lunghezza delle zucchine o le quote latte, ma incapace di far palpitare i cuori di popoli che sempre meno sentono di far parte di una grande casa comune.
In Francia nuovo trionfo per i gollisti di Nicolas Sarkozy, con l'Ump oltre il 28% e una nuova dura batosta per i socialisti, fermi al 16% e praticamente alla pari con «Europa ecologista» di Daniel Cohn-Bendit.
Storica sconfitta per i laburisti britannici che hanno registrato il risultato peggiore dal dopoguerra. Il partito del premier Gordon Brown è fermo al 15,3 per cento e si è piazzato solo terzo, dietro ai conservatori di David Cameron e ai liberaldemocratici. Netta affermazione anche degli ultranazionalisti del British national party. In Germania punita la «Grosse Koalition» guidata da Angela Merkel. Dagli exit poll è emerso un calo significativo della Cdu/Csu del cancelliere tedesco, passata dal precedente 44,5 per cento al 38,2, ma ha confermato anche la crisi della Spd che ha perso lo 0,3 per cento rispetto al catastrofico 21,5 per cento del 2004, risultato peggiore di tutta la sua storia.
Cantano vittoria le destre, ma soprattutto i Verdi e gli ambientalisti in genere, a conferma che la salute del pianeta è un tema che tocca la sensibilità di un elettorato che quando è deluso dai partiti tradizionali - ed è la sinistra, curiosamente, a pagare maggiormente lo scotto di una crisi economica e sociale che attraversa il mondo industrializzato, per la quale non sa indicare rimedi -; un elettorato che quando è deluso dai partiti tradizionali, si diceva, si volge - per protesta, magari - a quelle formazioni che se non altro promettono di battersi per frenare il saccheggio di quel che c'è rimasto, in termini di risorse naturali.
Francia, Spagna e Gran Bretagna sono i Paesi dove il partito socialista arretra più vistosamente. Cambia, e in un modo che il premier britannico Gordon Brown e quello spagnolo, Zapatero, non si aspettavano di certo, il panorama dell'Europarlamento. Anche se i raffronti con la precedente legislatura, va notato, non sono immediatamente facili, visto che si è passati da 783 deputati a 736.
Una ulteriore complicazione deriva dal fatto che alcuni partiti, come il Pd, non hanno ancora optato per un gruppo particolare. E dunque fino a questo momento vengono conteggiati fra gli «altri», all'interno di un «acquario» dove incrociano pesci e molluschi di specie assai diverse tra loro. Vedasi il caso dei conservatori britannici, che hanno voltato la schiena al Ppe ma non hanno ancora fatto sapere dove andranno ad aggattarsi; e le formazioni di estrema destra, come il British national party, che per la prima volta manda all'Europarlamento un suo rappresentante.
I numeri, nella loro schiettezza, parlano chiaro. Il Ppe, stando alle stime che circolano a Bruxelles, dovrebbe poter disporre di un numero di parlamentari oscillante fra i 267 e i 271. Il successo spinge l’Italiano Mario Mauro verso la presidenza dell’Assemblea. Il Pdl non è il primo gruppo all’interno dei Popolari, l’Italia potrebbe farcela. Ieri l’ha confermato anche il ministro degli Esteri Frattini: «Troveremo un accordo». Il Ppe sfonda, quindi. I socialisti arretrano: avranno un centinaio di eurodeputati in meno (fra 157 e 161) rispetto ai rivali. Un'ottantina potrebbero essere i Liberaldemocratici, 54 i Verdi, 35 le Destre, 17 gli «euroscettici» e 34 quelli della sinistra europea. Fra 85 e 90 seggi sono dunque quelli al momento vanno appannaggio dei cosiddetti «altri».
La partecipazione al voto, che era stata del 45,47 nel 2004, si attesta ora sul 43 per cento circa. Ma è il risultato delle sinistre, anzi, il «non risultato», che colpisce maggiormente.
Grande è la delusione di Martin Schulz, capogruppo uscente del Pse, che davanti al «rotundo fracaso» dei socialisti spagnoli ha parlato di una serata «triste» per la socialdemocrazia europea. Il fatto è che, a scrutare l'orizzonte, non si vedono segnali tali da far vaticinare che «'a nuttata» delle sinistre possa passare presto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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