Oggi finalmente la cortina fumogena inizierà ad alzarsi. E si comincerà a intravedere quale può davvero essere il punto di caduta del complicato puzzle europeo, terremotato da una tornata elettorale che ha visto uscire pesantemente ammaccati i due principali leader europei, il francese Emmanuel Macron e il tedesco Olaf Scholz. Fino a ieri il dibattito è stato all'insegna dei diversivi, con ognuno concentrato a parlare soprattutto al suo elettorato. Va in questo senso, per esempio, il surreale balletto a cui stiamo assistendo da giorni, con i socialisti di S& D pronti a dire che Giorgia Meloni è un «leader di estrema destra» (così il cancelliere tedesco domenica scorsa) e a ribadire che verso i conservatori di Ecr c'è un vero e proprio veto.
Una conventio ad excludendum che è tutta giocata su un gigantesco equivoco. Per l'indicazione dei quattro top jobs europei, a partire dal futuro presidente della Commissione Ue, nessuno - tanto meno Meloni - sta infatti pensando di aggregarsi alla cosiddetta «maggioranza Ursula» che, oggi come nel 2019, è l'unica ad aver i numeri necessari. Più banalmente e come è normale che sia per il partito che esprime il premier di un Paese fondatore pesante come l'Italia, Fdi potrebbe aggiungere i suoi voti quando il sempre più probabile bis di von der Leyen arriverà - a scrutino segreto - al vaglio dell'Eurocamera. Trattando prima un portafoglio economico pesante per il commissario Ue che spetta all'Italia. Niente di strano. È così che funziona la logica europea dove la politica tiene sì insieme famiglie contigue e compatibili, ma senza perdere di vista la rappresentanza di tutti e il peso (politico ma anche in termini di abitanti) dei singoli Stati. Non a caso nel 2019 il gruppo Ecr prese strade diverse: i polacchi del Pis - al governo di Varsavia con Mateusz Morawiecki - votarono in blocco von der Leyen, Fdi si espresse contro. Questa volta probabilmente succederà l'esatto contrario, con Ecr nuovamente divisa in quello che è un voto one shot sul presidente della Commissione Ue e non una fiducia con una maggioranza parlamentare come la intendiamo noi in Italia. Non ci sarebbe, insomma, nulla di strano.
D'altra parte, i numeri parlano chiaro. E, al netto dell'avanzata della destra in Francia e Germania, dicono che ancora una volta si dovrà partire dalla «maggioranza Ursula» tra Ppe, S& D e i liberali di Renew (402 seggi) per raggiungere il quorum di 361 necessario a eleggere il nuovo presidente della Commissione. Con un margine di 41 che non copre gli immancabili e sempre numerosi «franchi tiratori». Ed è qui che possono essere utili i 25 neoeletti di Fratelli d'Italia.
Di tutto questo si inizierà a parlare nel Consiglio europeo informale in programma oggi pomeriggio a Bruxelles. Una riunione dove si dovrebbe fare il punto dei quattro candidati ai top jobs (presidenza di Commissione, Consiglio e Parlamento e Alto rappresentante Ue) e dove Meloni è intenzionata a muoversi con la prudenza che l'ha caratterizzata in questi giorni. Francia e Germania vorrebbero però stringere i tempi, così da arrivare al Consiglio Ue in programma il 27-28 giugno e formalizzare la candidatura von der Leyen. Il Ppe, anche se con sfumature diverse, è sulla stessa linea. Meloni attende le mosse di chi ha in mano il pallino della trattativa, ma senza fretta e con l'obiettivo di portare a casa un commissario con un portafoglio economico importante (Affari economici, Industria o Concorrenza) insieme alla vicepresidenza della Commissione. Se non ci sarà chiarezza su questo e sugli altri nomi in campo, spiega un autorevole esponente di governo, allora è meglio fare le cose con calma. Un punto su cui l'Italia può avere un ruolo, perché il preventivo via libera in Consiglio Ue deve arrivare dalla metà più uno dei Ventisette, ma che rappresentino almeno il 65% della popolazione (e il nostro è il terzo Paese per numero di abitanti).
Una frenata sui tempi, però, significa spostare la nomina del presidente della Commissione Ue a ridosso delle legislative francesi (30 giugno e 7 luglio), che potrebbero anche vedere la vittoria di Marine Le Pen. La tempistica, peraltro, in questa partita è decisiva. E più passano i giorni, più von der Leyen rischia. Ma Meloni per darle il suo sostegno in Parlamento vuole garanzie sul Commissario italiano. Perché anche la premier è alle prese con alcune incognite.
A partire dal fatto che se Jordan Bardella diventasse davvero premier francese, si affievolirebbe di molto il cordone sanitario europeo intorno al Rassemblement national. Con Le Pen che potrebbe diventare un polo attrattivo dell'eurodestra. E magari provare anche a svuotare Ecr insistendo sul fatto che Fdi ha fatto da «stampella» a von der Leyen.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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