Caro Tommaso, la settimana passata si è chiusa con un netto successo politico di Giorgia Meloni e con lei dell'Italia intera. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, volendo accanto a sé, per l'ultimo anno del suo governo Ue, qualcuno che raddrizzasse le sorti del suo quinquennio smorto, ha dovuto optare per Mario Draghi. Lo scopo è chiaro. Cerca di tamponare la crisi economica dei 27 Paesi, e in particolare della Germania, ingaggiando un fuoriclasse da lei definito, nel discorso sullo stato dell'Unione, «una delle grandi menti economiche europee». Mi pare minimalista qualificarlo come «una delle»: chi ha visto le altre ce le segnali. E poi perché ridurlo a «mente»? Direi: mente e palle. Non basta infatti avere le idee giuste, bisogna farle valere. E l'antico scolaro dei gesuiti ha saputo imporle leoninamente contro gli economisti e i banchieri tedeschi e nordici che ne volevano la testa: mordendogli la nuca si ruppero i denti. Fatto sta che dopo aver salvato le chiappe dell'euro, ora la copia rinsecchita della Merkel vorrebbe ripetesse l'impresa, tutelando le sue.
Elly Schlein, maestrina dalla penna arcobaleno e pure moscia, ha interpretato la mossa di Ursula, immediatamente seguita da Giuseppe Conte e dai titoli di La Repubblica e La Stampa, come un castigo per Giorgia Meloni, colpevole di non rispettare il rituale dei salamelecchi avendo trattato il rappresentante italiano nel governo di Bruxelles, Paolo Gentiloni per l'asciugamano bagnato che in effetti è.
A lume di logica e buon senso, di cui la natura è stata avara con l'Armoniocromata, l'analisi va ribaltata. Chi esce a pezzi dal richiamo in servizio di Draghi va cercato da tutt'altra parte. Si rifletta: Gentiloni occupa il dicastero dell'Economia della Ue. E di che cosa va a occuparsi, appunto, Draghi? Di segnaletica stradale, di caccia e pesca, di agricoltura e turismo? Ci pare che a trovarsi in testa il cappellino con le orecchie d'asino sia proprio l'esponente del Pd, piazzato in quel posto dal governo peggiore del dopoguerra, quello cioè giallo-rosso. Di lui da allora (2019) non si ricorda un gesto, un aggettivo, ma lo stato d'animo: inerte. Persino i compagni di partito a Roma lo chiamano er Moviola, e lungi dallo studiare e promuovere la pratica della compagnia aerea italo-tedesca Ita, che per il suo e nostro Paese sarebbe di qualche interesse, pare stia ancora valutando l'impatto economico sul marco delle Olimpiadi di Berlino del 1936.
Un altro personaggio risulta invero delegittimato, altro che la Meloni. Non credo infatti si senta molto serena, sentendo il fiato sul collo del predecessore, la fallimentare presidente della Bce, la francese Christine Lagarde, che ha già alzato dieci volte il tasso di sconto, anche se non capisco perché lo chiamino sconto, visto che aumenta l'inflazione, crescono i prezzi, e i risparmi spariscono.
Si dirà: la Meloni ha vinto le elezioni combattendo Draghi. Ora se lo trova sopra la testa. Balle. Al tempo, la leader di Fratelli d'Italia esercitò l'opposizione solitaria, caricandosi di un ruolo in democrazia indispensabile. Rifiutò la parte di ancella suscettibile di una buona mancia e di sdoganamento antifascista, e respinse la tentazione, se non altro dimostrando buon gusto, di ammucchiarsi in una coalizione larga come il Rio delle Amazzoni e come il Rio delle Amazzoni ricca di piranha. Ha per questo pagato il prezzo di essere trattata allora e oggi quale estremista di destra, non avendo accettato di spegnere la fiamma per un paio di ministeri. Il popolo l'ha premiata, e insiste nel considerarla l'unico leader degno di governarci, che in Italia - come diceva la Buonanima - non è un compito difficile ma impossibile.
Il mio inutile consiglio è quello di non regalare Super Mario a comunisti e affini. Draghi oggi infatti è- come direbbero i marxisti di una volta - oggettivamente alleato della Meloni, in perfetta convergenza nelle scelte da cui dipendono le sorti del mondo, e pertanto dell'Italia. Sono entrambi prima atlantisti che europeisti; europeisti perché atlantisti. I due connotati per Meloni e Draghi sono indisgiungibili, non così per Schlein e Conte.
Con Draghi lassù, Giorgia e Giorgetti, che non sono parenti come forse crede Travaglio, si ritrovano ad avere, come i veneziani quando solcavano il Mediterraneo e attraversavano i Dardanelli, un porto amico e al sicuro dalle piraterie francesi e olandesi. Più ancora che intenderlo quale baia-rifugio - con il rischio possa essere considerata una sorta di protezione esclusiva per il Bel Paese a svantaggio degli altri 26 - l'innesto dell'ex premier nel gotha finora ostile dell'Ue con la missione di supervisionare l'economia ( il Pnrr italico l'ha scritto lui!), sarà una grande occasione per costruire, dopo quello che Giorgia ha già consolidato con Washington, un ponte tra Roma e Bruxelles che regga a qualsiasi terremoto. Sarebbe, se l'impresa riuscisse, più importante del ponte di Messina e per di più gratis.
Per questo la sinistra mediatica e politica, italiana e forestiera, cerca e cercherà di minarne le fondamenta, e bene ha fatto la premier a manifestare fiducia al di lei predecessore a Palazzo Chigi. E non è detto che questa inedita alleanza giorgio-mariana non possa sfociare nella promozione di Super Mario nel prossimo anno alla guida dell'Unione Europea. Guai a correre troppo però. Non siamo su Tik Tok.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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