
Chi muove da presupposti sbagliati giunge a conclusioni peggiori. Un dibattito pubblico fondato su disinformazione e ipocrisia prelude a scelte sbagliate. La comunicazione della difesa deve liberarsi di luoghi comuni, pregiudizi ideologici, filippiche da benpensanti che ci spiegano - pensa un po' - che è meglio vivere in armonia che in conflitto, che è meglio fare l'amore che la guerra. La verità è che «Si vis pacem, para bellum» ha acquisito rinnovata attualità. Dopo aver abbandonato la funzione militare per 70 anni delegando all'America la propria sicurezza, l'Europa affronta oggi un mondo sempre più belligerante e caotico. Per farlo, è costretta a svestire i panni dell' «erbivoro in un mondo di carnivori». Ed è ora che lo faccia con concretezza, senza ipocrisie e, soprattutto, senza avere paura delle parole. Invece, il dibattito sorto, tra gli altri, sul nome del programma ReArm Europe, spiega bene come non esista una idea di come comunicare questa nuova fase. Purtroppo, la guerra bussa alle nostre porte. L'Ucraina lo insegna. Anche nell'epoca del cyber e del quantum, sul campo di battaglia servono armi, e ne servono tante. Per 70 anni, guerra e armi sono stati tabù. Per 70 anni soprattutto in Europa ogni discorso sulla preparazione e l'adeguatezza delle nostre forze armate è stato messo da parte, censurato. La comunicazione dell'industria della difesa e delle forze armate doveva evitare totalmente di esprimersi chiaramente per timore delle reazioni che avrebbe suscitato.
Oggi occorre spiegare che le armi servono a costruire la deterrenza, quindi a evitare la guerra, che l'industria della difesa è motrice di sviluppo tecnologico, sociale ed economico, che tanta ricerca in ambito medico e agricolo passa per i passi compiuti nello Spazio e che le armi possono rivelarsi indispensabili per assicurare un futuro di libertà e democrazia.
Questa nuova fase può essere vista anche come opportunità per investire in un settore-chiave per l'economia. Secondo uno studio Mediobanca, il fatturato aggregato delle principali aziende italiane della difesa è di circa 20 miliardi di euro, con un valore aggiunto complessivo pari allo 0,3% del Pil italiano nel 2023 e una forza lavoro diretta di 54mila unità. Ogni euro investito in difesa ne genera due in valore aggiunto per il sistema economico nazionale. Industria della difesa, poi, non vuol dire solo armi, anzi. In Italia la gran parte delle società coinvolte realizzano prodotti e servizi anche per il mercato civile. Inoltre, nei prossimi anni il settore sarà investito dalle nuove tecnologie, dall'intelligenza artificiale al quantum computing, diventando motore di crescita capace a sua volta di trainare l'innovazione tecnologica anche in altri settori. Ricordiamolo: non ci sarebbe Internet senza l'Arpanet del Pentagono.
John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti, ha detto: «Devo studiare la
politica e la guerra affinché i miei figli possano studiare la matematica e la filosofia. I miei figli devono studiare la matematica e la filosofia per dare ai loro figli il diritto di studiare la pittura, la poesia, la musica».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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