
La storia marcia sulle gambe delle donne e degli uomini. Per questo, nei momenti di grande incertezza serve mantenere una prudente determinazione. Chi ha responsabilità pubbliche dalle quali dipende il destino dei popoli dev’esser vigile, pronto ad andare fino in fondo se la situazione lo richiede senza dare, però, nulla per scontato. Deve anche sapere che, quando la storia accelera, la politica estera invade senza riguardi la politica interna. In quei momenti, il peso del consenso si relativizza.
Assumere posizioni o atteggiamenti solo al fine di guadagnare voti serve a poco. Il più delle volte si rivela un’illusione. La partita, alla fine, viene decisa da altro. La storia d’Italia è piena di esempi che lo attestano. Giovanni Giolitti nel 1914 controllava il Parlamento, ma lo scoppio della Grande Guerra lo mise fuori gioco. L’alleanza tra sinistra comunista e sinistra cristiana nell’Italia del 1947 sarebbe stata potenzialmente maggioritaria, ma l’avvento della Guerra fredda la spiazzò irreversibilmente. Le forze politiche della Prima Repubblica negli anni ’80 avevano in pugno la situazione, ma la caduta del Muro ne cambiò prospettive e destini. E gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Oggi ci troviamo in uno di quei frangenti. A noi pare che, almeno fin qui, chi presiede il governo italiano si sia comportato con avvedutezza. È ormai chiaro che la posizione di Giorgia Meloni è cambiata. Si era immaginato che lei potesse rappresentare un elemento di raccordo tra l’Europa e l’amministrazione Trump. La radicalizzazione delle politiche americane, invece, le hanno fatto correre il rischio di finire in una sorta di limbo politico, continuando a inseguire qualcosa che non c’è.
Meloni, però, non ha commesso quest’errore. Il voto per il «piano Von der Leyen» al Parlamento Europeo ne è l’ulteriore conferma.
Ha così evitato che l’Europa si disunisse. Ed anche che in Italia potesse prevalere un pacifismo trasversale pronto a sacrificare l’Ucraina sull’altare di Putin. Non è poco, soprattutto se si considerano i punti di partenza ideali. Chi non lo riconosce chiedendo una determinazione ancora maggiore, non sa ciò che distingue un responsabile politico da un libero pensatore. Al primo un certo margine di prudenza bisogna concederlo, soprattutto se da ciò passa la tenuta di un governo o di uno schieramento. Per questo, per quanto ci riguarda, la stessa indulgenza siamo disposti a riconoscerla persino a Elly Schlein. Saranno i fatti a determinare ben presto se per lei sarà possibile o meno mantenere un filo di contatto con Conte, così come per la Meloni con Salvini.
La prudenza, però, è cosa diversa dall’ambiguità, così come le istituzioni sono differenti dalla piazza. In un sistema democratico rappresentativo, non è certo un crimine manifestare sulla strada. Chi sceglie di farlo, però, deve avere le idee chiare. Non deve aver paura di dire la verità e di chiamare le cose col proprio nome. Per questo, chi manifesta per l’Europa deve sapere che l’europeismo possibile oggi passa per il riarmo. Perché, dopo le scelte fatte dall’America di Trump, per il Vecchio Continente questo è l’unico modo per contare qualcosa, per rendere sicuri i confini, e persino per non liquidare del tutto la prospettiva transatlantica. Ed è anche l’unico modo per difendere ospedali e asili, che qualcuno incoscientemente contrappone alle armi. Inutile, invece - e persino fuorviante - richiamare il Manifesto di Ventotene. Chi lo fa non lo ha mai letto.
Perché quel testo, certamente evocativo, non ha più niente di attuale. Rischia di proporsi come una sorta d’ideologia in sostituzione di quelle che la storia si è incaricata di sconfiggere.
Oggi, insomma, non si può essere, al contempo, europeisti e pacifisti. Cosa che, però, non è chiara a chi ha promosso la manifestazione di sabato. Saranno certamente in tanti quelli che scenderanno in piazza ma - ci domandiamo - a cosa servirà se persiste questa ambiguità di fondo?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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