"Pubblicizza uno strumento di oppressione". Polemica sullo spot all'hijab di un noto marchio beauty

La grande azienda di prodotti cosmetici francese ha avviato una campagna oltralpe incentrata sulla promozione dell'hijab come elemento di inclusione

"Pubblicizza uno strumento di oppressione". Polemica sullo spot all'hijab di un noto marchio beauty
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La Francia è uno Stato laico e come tale vuol continuare a essere riconosciuto. Lo dimostra il divieto varato di recente dal governo Macron di indossare l'abaya, il tradizionale abito islamico, nelle scuole e in tutti i luoghi pubblici. Un divieto che fa seguito a quello di indossare l'hijab negli stessi luoghi, proprio per evitare l'ostentazione di simboli religiosi. Tutto questo mentre le istituzioni europee a Bruxelles continuano a promuovere il velo islamico come simbolo di integrazione. Un controsenso, perché quelli che lo sponsorizzano in Europa sono gli stessi che lo condannano in Medioriente, sostenendo le lotte delle donne che si vogliono affrancare da questo simbolo di oppressione del patriarcato (quello vero) islamico.

A sostenere il velo islamico ora arriva anche un grande marchio di cosmetica francese con punti vendita in tutto il mondo, che ha deciso di cavalcare la moda del momento. Certo, da parte dell'azienda non ci si può aspettare un fine sociale ma piuttosto economico e di marketing, ma il risultato resta lo stesso: si promuove il velo come simbolo di auto-determinazione femminile e di libertà, tutto il contrario di quello che, in realtà, è.

"Ormai pur di dipingere il velo islamico in chiave positiva, usano persino la pubblicità dei grandi marchi. In Francia il noto marchio di profumeria Sephora ha deciso di lanciare una pubblicità, sul suo canale Instagram, che sponsorizza le giocatrici di calcio con l’hijab, le cosiddette Hijabeuses che da tempo combattono una battaglia contro lo Stato e la federazione calcio", spiega Silvia Sardone, europarlamentare della Lega. "Queste donne sostengono il miglioramento di sé, lo spirito di squadra e la combattività e l'inclusione", è il commento che si legge nel profilo dell'azienda, per la campagna che al momento è stata distribuita solamente in Francia. Il claim conclude: "Anche questo è il potere illimitato della bellezza".

Tutto questo, però, si scontra con la normativa della federazione calcio Francia, che vieta di scendere in campo indossando “simboli o vestiti che manifestino un’opinione religiosa”. Una norma che il Consiglio di Stato ha stabilito non essere discriminatoria. "Ritengo francamente sconcertante che grandi marche usino il proprio potere comunicativo per promuovere come simbolo di inclusione e integrazione il velo islamico che invece è proprio la negazione dell’integrazione ed è un simbolo di oppressione e imposizione", ha aggiunto Sardone, sottolineando il controsenso di questa operazione. "Penso alle donne iraniane o alle ragazze come Saman morte per aver la libertà di vivere all’occidentale e di non metterlo.

Anche le istituzioni europee hanno più volte sponsorizzato in chiave positiva il velo islamico. Un errore madornale che rischia di portare l’Europa verso una progressiva islamizzazione", ha concluso l'europarlamentare.

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