"È lui il terzo uomo". Si allarga la rete di Panzeri

Al termine dell'analisi dei device elettronici sequestati nei giorni scorsi, gli inquirenti belgi potrebbero chiedere l'autorizzazione ad agire su Cozzolino

"È lui il terzo uomo". Si allarga la rete di Panzeri

Secondo i magistrati belgi il gruppo al centro delle loro attenzioni sarebbe formato da tre persone: Antonio Panzeri, Francesco Giorgi e Andrea Cozzolino. I primi due sono in carcere e ci rimarranno ancora almeno un mese, tempo che si dilaterà sicuramente, considerando che Francesco Giorgi ha scelto di collaborare ammettendo le sue responsabilità. Cozzolino è un deputato europeo, non è ancora indagato e nemmeno è stato direttamente contattato dagli inquirenti. Contro di lui non ci sono elementi ma solo un sospetto avanzato dal suo assistente parlamentare.

Ieri, Cozzolino ha rilasciato una nota stampa nel pomeriggio, nella quale si è detto "del tutto estraneo alle indagini: non sono indagato, non sono stato interrogato, non ho subito perquisizioni né, tanto meno, sono stati apposti sigilli al mio ufficio". Prima di effettuare qualunque azione nei suoi confronti, la procura ha il dovere di rivolgersi al parlamento europeo avendo lui l'immunità parlamentare. La polizia sta scandagliando i device elettronici sequestrati nei giorni scorsi per trovare elementi in più sull’inchiesta del Qatargate e in base a quanto emergerà da queste analisi, e a quello che dirà ancora Francesco Giorgi, la procura valuterà come eventualmente procedere.

"Una giornata terribile, mi sento come dentro una bolla", ha dichiarato ieri sera al telefono con La Stampa. Secondo indiscrezioni trapelate sulla stampa, riportate da la Repubblica, durante il suo ultimo interrogatorio durato 12 ore, alla domanda degli inquirenti incentrata sulla possibilità che ci sia stato un pagamento da parte di Panzeri all'esponente parlamentare europeo del Pd, Giorgi avrebbe dichiarato di "supporre" che uno scambio ci sia stato. Parole che Cozzolino respinge con forza, spiegando nel suo comunicato di non aver "mai incontrato persone vicine ad agenzie o servizi di sicurezza, né tanto meno ho mai perseguito interessi, vantaggi o utilità personali nella mia vita politica". Tra le ipotesi investigative, infatti, c'è anche quella che Cozzolino abbia tenuto rapporti con soggetti stranieri attenzionati nell'indagine, in particolare legati alla diplomazia e all'intelligence di Rabat.

Sottolineando di non aver avuto modo di interferire sul processo decisionale del Parlamento europeo, il politico ci ha tenuto a sottolineare che "le delegazioni al Parlamento europeo non sono parte del processo legislativo ed al contrario delle commissioni, non gestiscono risorse del bilancio Ue, e non stipulano accordi internazionali". Inoltre, nell'intervista a La Stampa, ha anche dichiarato di non avere memoria di viaggi in Marocco: "Non mi ricordo di essere andato in Marocco, devo controllare l'agenda. Sono stato due volte in Tunisia, due in Algeria, ma si trattava di missioni per conto del Parlamento europeo. Io ero presidente della delegazione per le relazioni con il Maghreb e in questo ruolo tenevo i rapporti politici, non mi occupavo dei dossier tecnici".

C'è poi la questione della mail inviata a tutto il gruppo S&D poco prima del voto del 24 novembre sulla risoluzione per i diritti umani ai Mondiali di calcio, in cui invitava a votare contro una parte del testo in cui si sosteneva che il Qatar aveva ottenuto la Coppa del Mondo grazie alla corruzione. Una richiesta motivata dal fatto, come si legge nella mail, che "il parlamento Ue non dovrebbe accusare un Paese senza prove delle autorità giudiziarie competenti". Oggi, Andrea Cozzolino porta avanti la sua difesa: "Mi batterò per l'affermazione e la difesa della verità e per fare piena luce su sospetti infondati. Sono a completa disposizione dell'autorità giudiziaria per qualsiasi chiarimento e ripongo la massima fiducia nel lavoro della magistratura del Belgio".

Intanto la procura generale del Belgio prosegue il suo lavoro e come riporta la Repubblica, nel decreto d'arresto di Giorgi e Panzeri, i magistrati scrivono che i tre avevano una "motivazione prioritaria: il lavoro con

il Marocco e il Qatar in cambio di denaro. Il gruppo riceveva pagamenti per le sue attività. E nel 2019 aveva concluso un accordo per effettuare ingerenze a favore del Marocco in cambio di denaro".

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