Ad assistere al prologo della campagna elettorale per le elezioni europee, si ha la sensazione che la maggior parte dei partiti guardi al Parlamento di Strasburgo con gli occhi rivolti al Parlamento di Roma. Gli slogan, i posizionamenti, i calcoli, per alcuni versi anche i toni della campagna elettorale, per non parlare dei veti, accennano alle tematiche europee con il pensiero rivolto perennemente a quelle italiane. Il punto, però, è che a Strasburgo come a Bruxelles ci si va con una bussola che dovrebbe seguire non solo le affinità di schieramento, identitarie e magari anche ideologiche o pseudo tali, ma anche gli interessi nazionali. Anzi, soprattutto, gli interessi nazionali come ci hanno insegnato i grandi Paesi dell'Unione. E per salvaguardare le convenienze e i diritti dell'Italia, c'è un solo modo: contare. Il che significa, per utilizzare un ragionamento brutale, far parte o dialogare con la maggioranza che esprimerà la Commissione europea, cioè il governo dell'Unione. Se non hai quella collocazione a Bruxelles o a Strasburgo conti come il due di coppe quando regna bastoni a briscola. Poco e niente, quindi, per cui tanto varrebbe a quel punto non frequentare quei palazzi e iscriversi alla bocciofila della capitale belga.
Questa è la dura realtà che qualcuno da noi tende ad esorcizzare o a dimenticare. Per muoversi con accortezza da quelle parti, quindi, bisognerebbe ispirarsi innanzitutto al realismo e al pragmatismo. Scontri ideologici o di schieramento hanno un senso ma fino ad un certo punto. All'epoca l'Inghilterra lo ingaggiò è ancora non ha finito di pentirsene perché al momento - Trump o non Trump, Putin o non Putin - la scelta europeista appare irreversibile specie se non si vuole rischiare l'osso del collo. Tanto più per il nostro Paese che per sopravvivere in un contesto internazionale così tragico non può non essere parte integrante di un sistema di difesa europeo, per non parlare della gestione di tutte le risorse (anche a debito) che per noi sono in ballo con il Pnrr. Ecco perché per il nostro governo è importante come non mai avere un amico a Bruxelles e, quindi, è indispensabile incidere sugli equilibri che daranno vita alla nuova Commissione. Una valutazione che Giorgia Meloni ha fatto non a torto da diverso tempo. Altri, invece, purtroppo no. Ora se si guarda ai sondaggi sulla geografia del prossimo Parlamento l'ipotesi più probabile è che si formi una maggioranza che metta insieme il Ppe, il gruppo di Macron e il gruppo socialista. Il che in fondo è una contraddizione perchè mentre l'Europa sul piano dei consensi, sempre secondo i sondaggi, si sposterebbe verso destra, gli equilibri nel Parlamento di Strasburgo resterebbero ancorati sul versante del centro-sinistra.
L'unica possibilità per spostare un pochino l'asse della nuova Commissione, semprechè i sondaggi siano esatti, è il tipo di collaborazione e di dialogo che si instaurerà tra questo equilibrio di forze e la Meloni. Un dialogo che potrebbe portare il nome del prossimo presidente della Commissione.
Ovviamente, in quest'ottica il primo nome è quello dell'attuale Ursula von der Leyen. Ma non è detto che passi vista la freddezza di Macron e del cancelliere Scholz. Se saltasse ci sarebbe la candidatura dell'attuale presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola o, magari, qualche nome italiano come Mario Draghi o, perché no, del nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani. Tutte ipotesi che potrebbero portare ad un coinvolgimento del nostro governo e che ci garantirebbero un punto di riferimento a Bruxelles tutt'altro che ostile. Anzi.
Rintanarsi, invece, nel recinto della destra europea, se gli equilibri saranno questi, servirebbe, non me ne voglia Matteo Salvini, a poco. Da una simile prospettiva l'Italia non avrebbe nulla da guadagnare e molto da perdere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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