C'è qualcosa di nuovo e buono, nell'aria di fine anno. Anzi, d'antico. Dopo anni a magnificarne le sue contraddizioni abbiamo riscoperto il valore della famiglia. Certo, direbbe Lev Tolstoj, «tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo». E di disgrazie nate (e morte) dentro le mura domestiche ne abbiamo viste fin troppe. Bambini vittime dell'egoismo spietato dei genitori, usati come merci di scambio per agghiaccianti vendette incrociate, amori spietati che si accaniscono con chi vorrebbero possedere senza alcun titolo.
Vite spezzate dalla convivenza forzata, recitava la solita, sinistra litania per cui tutto ciò che è famiglia è male. Ma un albero che cade fa sempre più rumore di una foresta che cresce. E le famiglie italiane sono cresciute, eccome: in responsabilità per i ragazzi, e basta guardare con quanto rigore gli adolescenti hanno affrontato la pandemia dentro la scuola, con quanto sacrificio hanno accettato di essere costretti in casa, con quanta dedizione si sono battuti per poter tornare a studiare in classe. E questa forza l'hanno tratta dalla famiglia, e dove sennò? Dai genitori che con un pizzico di lucida follia si sono reinventati smart parents prima ancora che smart workers, sfruttando appieno - tra mille perplessità - la convivenza «forzata» tra generazioni che non avevano (quasi) più nulla da dirsi, costringendoci tutti a scoprire noi stessi, lentamente e non senza qualche frizione, e a mettere a nudo le nostre reciproche debolezze. Il pranzo è tornato ad essere centrale e cruciale, com'era trent'anni fa, quando tra una portata e l'altra si commentavano i tiggì o qualche titolo di quotidiano, prima che il tempo pieno a scuola svuotasse la clessidra in cucina. Ed è stata per tutti un'Epifania di emozioni, belle e brutte, ma maturate insieme. Ora che il solco è stato ritracciato sarebbe folle sprecare tutti gli sforzi e tornare alle alienazioni conflittuali che sembravano aver sfilacciato irrimediabilmente ogni dialogo. Ed è questo lo sforzo più grande che bisogna ancora compiere, la vera sfida del 2021 e oltre, perché probabilmente ci vorrà un bel po' per liberarci dall'angoscia opprimente di un male invisibile e bastardo che ci ha comunque inaridito, anche se non annichilito.
Ci vuole una guida, una luce. Non ci sarebbe bisogno di scomodare un Papa se questi tempi bui non richiedessero l'aiutino del sacro contro la continua profanazione materialista dell'idea di famiglia padre-madre-figlio-figlia, eredità tradizionale e divina della virtù che Dante esaltava come «forma per li nidi» ma anche pietra d'inciampo per la narrazione che vorrebbe invece liquidare semanticamente tutto e tutti, quasi che la parola «famiglia» fosse l'ultimo sassolino rimasto nel setaccio sessantottista che ha già divorato e prosciugato parole come padre, responsabilità, dovere. «Famiglia, che cosa dici di te stessa? Io sono l'ambiente dell'amore e della vita perché tu mi ha dato il diritto e la forza di esserlo».
Eccolo, il segreto rivelato da san Giovanni Paolo II l'8 ottobre 1994 a San Pietro. La famiglia è prima di tutto gioia e speranza, gaudium et spes, poi molte altre cose. Una lezione così non dovremmo dimenticarla, eppure c'è voluta una pandemia mondiale per riscoprirla.
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