Antonello Mosca
Giulio Cappellini, architetto, art director, il cui nome è legato da anni a mobili e oggetti entrati nelle case di tutto il mondo, è uno dei personaggi del design italiano. Sinonimo di minimalismo, di inventiva, il suo marchio è e resta una firma di punta, confortato dalla collaborazione di architetti famosi e contenitore di un valore imprenditoriale che è la sintesi di diversi linguaggi e culture. Nuove linee, nuovi linguaggi, nuova funzionalità e un successo che lo ha portato ad entrare nel Poltrona Frau Group, pilota del «polo del bello» sostenuto da Charme, il fondo privato voluto da Luca di Montezemolo. È facile quindi parlare con lui del tema casa, attenzione di ogni uso lavoro: «È il centro della mia professione - esordisce Cappellini - e mi appassiona perché è espressione della nostra vera identità, lo specchio di come siamo fatto realmente e rappresenta il nostro modo di essere e interpretare la vita».
Da quanto lei produce si legge un arredamento come espressione di libertà.
«Proprio così, la libertà di vivere come si vuole. L'arredamento deve seguire soprattutto l'istinto e il cuore. Credo debba essere la sintesi personale di store, culture e stili differenti. Quindi se devo parlare di un tema che ne sia il conduttore, prediligo citare un "caos ragionato", dove tutto e il contrario di tutto possono convivere in perfetta armonia. Perché in fondo la casa non è del tutto "esibita" per riflettere il nostro lato pubblico, ma soprattutto raccoglie il nostro privato fatto di affetti, ricordi, emozioni, sogni e ispirazioni».
È possibile chiedere se c'è uno stile che ama di più?
«Penso che in ogni epoca vi siano stili estremamente interessanti. Io sono appassionato al design degli anni Cinquanta e Sessanta, e alle provocazioni degli anni Ottanta. Ma credo abbiano un ruolo non indifferente le influenze estetiche legate al mondo dell'arte contemporanea e alle culture di antica tradizione come quelle orientali».
Lei parla di arte contemporanea, quali sono i suoi artisti preferiti?
«I francesi César e Arman, gli americani Basquiat e Warhol, l'italiano Lucio Fontana».
E il suo soggiorno?
«Non potevo, nel suo arredamento, non collocarvi opere che ho realizzato con diversi architetti. Così ho scelto le sedute semplici e geometriche del "Three Sofa System" di Jasper Morrison, la poltrona "Wooden Chair" di Marc Newson e il tavolo estremamente rigoroso che Fronzoni disegnò nel lontano 1964. Un angolo di questo living l'ho trasformato in un mio piccolo rifugio, dove leggo, scrivo e ascolto musica».
E la sua camera da letto?
«Rigorosa, molto semplice. Con un letto lineare e basso che per la verità io producevo molto tempo prima delle mille proposte di oggi e una raccolta di immagini e ritratti di famiglia. Vi sono anche ricordi di viaggi, come antichi mobili in lacca cinesi».
E la sua cucina?
«Vive in uno spazio molto luminoso, arredata con grande funzionalità e dotata di ogni ritrovato tecnologico. Io non cucino, prediligo invece preparare le pietanze nei piatti, pensando alla loro scenografia. Mi rifaccio ai grafismi delle cucine giapponesi o ai colori di quelle mediterranee. Mi affascina l'aspetto che la cucina sia la prima espressione di cultura e spirito dei diversi popoli e delle diverse etnie».
Mi sembra che il bianco sia un colore determinante per la sua casa.
«Sì, nei pavimenti, nelle pareti e nei soffitti. L'esplosione di colore viene dai quadri, dalle opere d'arte e dai complementi d'arredo».
Secondo lei i negozi di oggi offrono quello che il pubblico si aspetta nel campo della casa?
«Non sempre, spesso c'è una offerta troppo "coordinata", lasciando poco spazio alla fantasia.
Qual è la casa che lei ama davvero?
«Quella che ha un'anima, sia minimalista, pop o barocca. L'importante che viva con chi la abita, che sedimenti, si trasformi, che evolva nel tempo».
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