Gli sforzi mondiali per combattere il morbo di Alzheimer sono tali che alcuni ricercatori della Penn State, della Stanford University e collaboratori internazionali hanno scoperto che un farmaco sviluppato per curare il cancro potrebbe tornare molto utile per trattare questa invalidante patologia.
Lo studio
Nei modelli preclinici è stato visto che bloccando un enzima chiamato "indoleamina-2,3-diossigenasi 1 (IDO1)", la memoria e la funzione cerebrale continuano a funzionare correttamente. In questo caso siamo ancora lontani dall'immissione sul mercato ma è molto importante sottolineare che questi inibitori dell'IDO1 sono attualmente in sviluppo per trattare molti tumori tra i quali melanoma, leucemia e cancro al seno: adesso, lo stesso discorso potrebbe applicarsi anche alle fasi iniziali delle malattie neurodegenerative. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science e spiegano che gli inibitori dell'IDO1 possono essere riutilizzati anche per le fasi iniziali delle malattie neurodegenerative.
"Stiamo dimostrando che esiste un elevato potenziale per gli inibitori di IDO1, che sono già nel repertorio di farmaci in fase di sviluppo per i trattamenti del cancro, per colpire e curare l'Alzheimer", afferma Melanie McReynolds, docente presso la Penn State e coautrice dello studio. "Nel contesto più ampio dell'invecchiamento, il declino neurologico è uno dei maggiori cofattori dell'incapacità di invecchiare in modo più sano. I benefici della comprensione e del trattamento del declino metabolico nei disturbi neurologici - continua - avranno un impatto non solo su coloro che hanno ricevuto una diagnosi, ma anche sulle nostre famiglie, sulla nostra società e sulla nostra intera economia".
Cosa succede in Gran Bretagna
Mentre si guarda con ottimismo a questo nuovo enzima, in Gran Bretagna c'è chi la definisce davvero una svolta contro l'Alzheimer la possibile e prossima autorizzazione del farmaco Lecanemab che promette di essere in grado di rallentare la malattia se presa nelle sue fasi iniziali. Alcuni esperti pensano sia come "l’inizio della fine" della malattia dopo aver dimostrato di rallentare il decorso nel 27% dei pazienti trattati.
Prodotto dall'azienda farmaceutica giapponese Eisai, c'è però una diatriba scoppiata nelle ultime ore: se per l'agenzia regolatoria britannica Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency (Mhra) c'è l'ok, soltanto nelle prossime settimane si saprà se il National Institute and Care Excellence (Nice) deciderà di implementarlo o meno nel servizio sanitario nazionale. Questo farmaco va somministrato ogni due settimane tramite flebo ed "è il primo trattamento in grado di modificare la malattia, rallentare il declino cognitivo e ridurre le placche associate all'Alzheimer", spiegano gli esperti al The Telegraph.
Gli studi clinici, infatti, hanno dimostrato che ha rallentato il declino della memoria e del pensiero funzionale dei partecipanti: negli Stati Uniti è già stato autorizzato lo scorso anno e adesso anche in Europa si fa sul serio dopo, però, lo stop del mese scorso in cui è stata respinta una licenza per i potenziali effetti collaterali che potevano portare "gonfiore e potenziali emorragie nel cervello", superando i benefici stessi del trattamento. Nella maggior parte dei casi, però, gli accumuli di amiloide nel cervello si sono ridotti notevolmente rispetto a coloro i quali hanno ricevuto il placebo.
Il problema dei costi e degli effetti collaterali
Nonostante l'ok dell'Mhra, l'Istituto Nazionale per l'eccellenza sanitaria e assistenziale (Nice) ha scelto la linea guida della prudenza. "Il nostro comitato non è in grado di raccomandarlo per il trattamento del deterioramento cognitivo o della demenza lievi causati da malattia di Alzheimer", perché "i benefici del rallentamento della progressione della malattia, in media di 4-6 mesi, non possono giustificare l'elevato costo per il servizio sanitario nazionale Nhs". È questa la sintesi di una prima bozza sulle linee guida per il Lecanemab: questo vuol dire che sarà difficile per i pazienti del Regno Unito accedere al farmaco con il servizio sanitario pubblico perché i benefici sarebbero "troppo esigui per giustificarne i costi".
Il farmaco, inoltre, non sarà per tutti: tra i pazienti che non potranno utilizzarlo ci sono coloro che hanno un gene chiamato Apoe (circa un quarto dei pazienti) che oltre ad aumentare le possibilità di contrarre l'Alzheimer possono andare incontro proprio ai problemi di effetti collaterali sopra descritti. Secondo le prime informazioni saranno esclusi da questo trattamento anche i pazienti che prendono alcuni anticoagulanti perché avrebbero un rischio maggiore di emorragie. "Stiamo attualmente completando una rigorosa valutazione delle prove a sostegno del Lecanemab nel trattamento della malattia di Alzheimer. Ulteriori informazioni saranno comunicate a tempo debito", ha dichiarato un membro dell'Mhra al quotidiano britannico.
I risultati
L'ottima notizia, comunque, è che i risultati della sperimentazione ottenuti nei mesi scorsi hanno rappresentato i primi progressi positivi nel trattamento in quasi tre decenni "suggerendo che il Lecanemab rallenta la progressione della malattia anziché limitarsi a mascherarne i sintomi".
Il rovescio della medaglia, però, è la capacità di diagnosi capillare per ogni paziente in grado di stabilire chi potrà averne benefici e chi no: per questo saranno necessari numerosi esami preliminari quali risonanza magnetica, punture lombari e Pet.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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