Tumore al cervello, la speranza arriva da una proteina

Un nuovo farmaco biologico, in fase 1 di sperimentazione, potrebbe essere impiegato nella cura del glioblastoma

Tumore al cervello, la speranza arriva da una proteina
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Un farmaco biologico - per contrastare uno dei più aggressivi tumori al cervello, il glioblastoma – il cui “principio attivo” è una proteina umana, presente in diversi organi del corpo, che viene “ricombinata” in laboratorio. Una cura mirata, dunque. Di quelle che non puntano a distruggere le cellule malate ma a correggerle, ripristinando l’informazione perduta.

Non si sa ancora se questo nuovo farmaco sarà in grado di sconfiggere il glioblastoma. Lo studio appena pubblicato su Molecular Cancer descrive la fase 1 volta a testarne la tossicità.
La proteina che ha suscitato l’interesse dei ricercatori si chiama BMP4, ha il compito di informare le cellule staminali indifferenziate e di indirizzarle verso un tessuto specifico. Si trova in vari organi come intestino, fegato, cervello, muscoli. Non si può produrre artificialmente ma si può ricombinarla in laboratorio con una tecnica di ingegneria genetica.

Ha spiegato Angelo Vescovi, il neuroscienziato che ha condotto lo studio, che è anche Direttore Scientifico dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG) e Professore Associato presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze della Bicocca.
“Il gene umano che codifica la BMP4 è inserito nelle cellule del porcellino d’india, queste ultime sono poi “istruite” a replicare la proteina (normalmente, non lo farebbero) e la riproducono in maniera praticamente identica a quella umana: da qui, “human recombinant”. La proteina prende il nome di hrBMP4, perché è proteina umana ricombinante (hr), ottenuta mediante ingegneria genetica”.

Una neoplasia resistente ai farmaci

La proteina ricombinata agisce sulle cellule staminali tumorali del cervello fermandone la crescita.
“Di fronte a una neoplasia che ha resistito allo sviluppo di nuovi farmaci efficaci per oltre 40 anni, abbiamo all’orizzonte la speranza di una nuova cura che esula dagli schemi. Nel prossimo trial di fase 2, per il quale stiamo raccogliendo fondi, ci aspettiamo la conferma e il miglioramento dei dati di efficacia, già molto interessanti a questo primo stadio” ha dichiarato Vescovi.

Contro il glioblastoma multiforme (GBM), il più comune e aggressivo tra i tumori maligni del cervello, con 40.000 nuovi casi all’anno nel mondo e un’aspettativa di vita alla diagnosi di soli 14,5 mesi, non sono stati identificati nuovi farmaci efficaci negli ultimi 4 decenni. La proteina ricombinante umana 4 (hrBMP4) potrebbe inaugurare ora un approccio terapeutico del tutto inedito per il glioblastoma. L’obiettivo non è più cercare di uccidere tutte le cellule del cancro, ma focalizzarsi, come bersaglio, solo sulle cellule staminali carcinogeniche, vero motore dello sviluppo tumorale. Inoltre, non si cerca di ucciderle, come avviene con i trattamenti attuali, ma, agendo su di esse per farle diventare mature e differenziate, le si rende incapaci di moltiplicarsi e sostenere la crescita del tumore.

Lo studio di fase 1 è stato sostenuto con oltre 14 milioni di euro da StemGen SpA, biotech italiana nata all’interno dell’Università di Milano-Bicocca. Lo studio multicentrico, condotto a livello internazionale, ha visto coinvolti: la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, il prof. Clemens Dirven e il team dell’Erasmus University Medical Center di Rotterdam, il Brainlab A.G. di Monaco di Baviera, il Tel Aviv Medical Center, la University Clinic Hamburg-Eppendorf e l’Amsterdam University Medical Center. La ricerca è stata supportata anche dalle americane “The Brain Tumor Funders’ Collaborative Initiative” e “James S. McDonnel Foundation”.

La sperimentazione

La sperimentazione è durata oltre 3 anni, il farmaco sotto forma di infusione è stato somministrato a 15 pazienti con recidiva di glioblastoma.
Il 20% dei pazienti ha risposto alla terapia: in due pazienti la lesione è completamente scomparsa, in assenza di altri trattamenti concomitanti, e un terzo paziente, con risposta parziale, è sopravvissuto fino a 27 mesi (circa 4 volte il tempo medio di comparsa delle recidive).

“Se si considera che lo studio è stato condotto su soggetti già molto compromessi da una patologia in stadio avanzato e che le terapie standard, a fronte di notevole tossicità e pesanti effetti collaterali, allungano solo di 5 mesi l’aspettativa di vita dopo una recidiva, i risultati ottenuti rappresentano una speranza concreta per iniziare a cambiare la storia di questo terribile tumore cerebrale” ha concluso Angelo Vescovi, che da alcuni mesi è Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica.

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