"Fascisti e antifascisti? A teatro si ride in pace"

Il regista e la commedia "Farà giorno" al Parenti "Partigiano, figlia Br e naziteppista a confronto"

"Fascisti e antifascisti? A teatro si ride in pace"

Piero Maccarinelli, bresciano, classe 1957, direttore artistico del Parioli di Roma, è il regista di «Farà giorno», dal 2 al 28 maggio al Teatro Parenti, con Antonello Fassari, Alvia Reale, Alberto Onofrietti. Racconta Maccarinelli di aver frequentato il primo anno di legge a Milano «perché mia madre avrebbe voluto così». Poi si è iscritto a Architettura: «Come hobby ancora oggi arredo case». Infine la scuola del Piccolo: «Avevo frequentato il liceo Arnaldo da Brescia, il nostro professore ci faceva studiare cose pazzesche per i tempi e quando alla selezione parlai di de Saussure e di «Das Mutterrech» di Bachofen, mi presero. Poi ho fatto il terzo assistente di Strehler, ho lavorato con Scaparro, e otto mesi con Olmi per il casting del "Santo bevitore"».

Nella pièce, Renato, vecchio partigiano e medaglia d'oro al valore della Resistenza, si trova sulla strada di Manuel, teppista di periferia con spiccate simpatie nazifasciste. Il testo di Rosa Menduni e Roberto De Giorgi è ambientato nel 2007. Che cosa è cambiato da allora?

«Sostanzialmente non è cambiato nulla, solo le età dei personaggi. Nel 2007 era possibile avere un partigiano vivo, ora è quasi impossibile. Non abbiamo cambiato la storia perché è sempre valida, inclusa quella della figlia che ha aderito alle Br. È la storia di tre persone che si incontrano senza reticenze e cercano di capirsi e di imparare una dall'altra».

Senza guardare ai torti e alle ragioni?

«Torti e ragioni ci sono e sono chiari ma soprattutto dopo tutti questi anni è necessario confrontarsi civilmente e cercare di capire. Che cosa dovremmo dire del fatto l'Italia non ha mai fatto veramente i conti con il fasciamo e che l'80 per cento degli Italiani si dichiarava fascista e dopo il 1945 più o meno le stesse identiche persone dicevano che con il fascismo non avevano niente a che fare? Solo il 10 o il 15 per cento degli Italiani ha partecipato attivamente alla Resistenza. Ci si è trascinati dietro l'odio perché è mancata una revisione».

Come si inserisce il personaggio femminile nella dialettica tra i due?

«Nella conciliazione attraverso la commedia dialogano due personaggi che parlano due linguaggi diversissimi, finché non arriva la figlia che il padre aveva denunciato alla polizia perché era entrata nella lotta armata. Alla fine tutti e tre fanno lo sforzo di capirsi e in qualche modo cambiano».

La trama è accattivante. È davvero possibile un dialogo tra persone legate a ideologie tanto diverse o la comunicazione avviene a un altro livello?

«È possibile non sul terreno delle ideologie, ma su quello sentimentale delle emozioni, del sentire le ragioni del vivere quotidiano. Lì la possibilità di capirsi c'è e se si partisse di più da questo sarebbe un successo clamoroso, perché riusciremmo a ottenere più tolleranza e possibilità di capirci nelle nostre debolezze e fragilità. In fondo il ragazzino è un ragazzetto di periferia, che vive in condizioni disagiate, e questo lo porta ad aderire a ideologie estreme».

L'ironia è una strada per riflettere meglio?

«L'ironia e l'autoironia sono sempre e comunque una strada per riflettere meglio, perché consentono il distacco dai rigori ideologici. Sono fondamentali per vivere in una società democratica, per vedere con una leggera distanza cose che dal didentro possono accecare».

Ha molto lavorato sul rapporto con i nuovi romanzieri. Che cosa l'è piaciuto di più?

«Sono giurato allo Strega, leggo molti autori contemporanei, Marco Marvaldi mi ha scritto «L'infinito fra parentesi» per il teatro e Daniele Mencarelli, per me una specie di parente acquisito, dopo «Agnello di Dio», sta lavorando a un altro testo. Paolo Malaguti mi sta aiutando su «La casa nova» di Goldoni che vorrei portare sulla contemporaneità. Mi piace aver scoperto «La Mafia» di Sturzo».

Come sta un

bresciano a Roma?

«Come un topo nel formaggio. Sto lavorando per tirare su il Parioli. Dopo aver avuto da ridire con l'assessore alla Cultura o con il sindaco, faccio una passeggiata e con la bellezza passa tutto».

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